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Protagonista il cinghiale della conviviale del 2 febbraio scorso, organizzata congiuntamente dal Rotary Club di Muggia e dalla delegazione Muggia - Capodistria dell'Accademia Italiana della Cucina Una serata iniziata nel ricordo di Gilberto Benvenuti rotariano e tra i fondatori della delegazione dell'Accademia della Cucina transfrontaliera. A parlare del cinghiale sono stati Marino Vocci “gastronauta” e vice delegato della delegazione muggesana dell’Accademia e Nicola Bressi, conservatore zoologo preso il Civico Museo di Storia naturale di Trieste. Hanno ricordato la cultura e civiltà della tavola legata a questo "saporitissimo" maiale peloso, che, negli ultimi anni, è molto presente sul Carso e ora è arrivato anche in città . Si è fatto cenno ai diversi piatti che, tradizionalmente, si preparavano con questo intelligente animale e di quelli che sono stati preparati per la serata conviviale . Piatti , ma anche prodotti (salami, prosciutti) che sono parte della storia e della cultura alimentare dei nostri territori. E poi bellissime, simpatiche e …gustose storie sul cinghiale . Il cinghiale (Sus scrofa) è un mammifero ungulato autoctono in gran parte d’Europa, tuttavia dalla fine del XVIII secolo, con i disboscamenti e la diffusione delle armi da fuoco, la specie divenne sempre più rara. Dopo il secondo conflitto mondiale, l’abbandono delle campagne, il benessere e una pratica venatoria che ha permesso il formarsi di vigorose popolazioni ibride, hanno ridato impulso all’incremento della specie. Continua.

I danni che il cinghiale provoca all’agricoltura sono noti sin da quando è nata l’agricoltura stessa. Se ne trovano tracce nella letteratura di ogni epoca: dai classici greci e latini sino al libro dell’architetto triestino Arduino Berlam (“Porci e Cignali”), del 1938. Il cinghiale è descritto in modo così ampio, perché è una specie incredibilmente intelligente, opportunista ed adattabile, simile all’uomo più di molti altri animali. Inoltre è anche molto prolifico, soprattutto dopo che lo abbiamo ibridato con il maiale (che altro non è che il suo discendente domestico). Perché un animale così dovrebbe rimanere solamente nei boschi? Lì c’è meno cibo, molta competizione e molti cacciatori e predatori. Al contrario, tra campi e giardini, si trova una manna di ortaggi, rifiuti e, talvolta, persino cibo, direttamente fornito da qualche sprovveduto essere umano.
La presenza di ALCUNI cinghiali in un bosco è molto positiva. Essi contribuiscono all’aerazione e alla fertilizzazione del terreno, alla germinazione di alcuni semi e alla diffusione delle spore di certi funghi (tra cui i tartufi). I suini selvatici sono, poi, un’importante risorsa per alcuni predatori.
Tuttavia, un bosco può produrre sino ad un certo numero di: ghiande, lombrichi, tuberi, larve, fiori, ecc., che, se vengono mangiati dai cinghiali, non possono essere mangiati da altri animali. I cinghiali possono, quindi, ridurre il numero degli uccelli, delle farfalle, delle api, ecc.. I cinghiali sono, dunque, una componente degli ecosistemi, ma non lo sono più se proliferano incontrollati.
Oltre alla diminuzione di altre specie, i cinghiali in soprannumero possono diffondere organismi infestanti. Il troppo grufolare crea suoli disturbati, ove si inseriscono specie dannose, come il velenoso ailanto e l’allergenico senecio africano. L’intenso grufolare provoca dissesto idrogeologico: erosione di suoli collinari e frane.
Se qualcuno ha paura di essere sbranato dai cinghiali quando esce di casa, si può affermare che i cinghiali non sono in questo senso pericolosi. Certo, però, che un gran numero di cinghiali senza controllo non giova di certo. Un animale di oltre 100 kg, con potenti zanne, è sempre un potenziale pericolo quando si aggira, magari nervoso e spaventato, in zone abitate e trafficate.
Inoltre, il sistema immunitario dei suini poco differisce da quello umano. Pensiamo ai trapianti d’organi, all’“influenza suina” e ad altre malattie e parassitosi (zecche con morbo di Lyme e encefaliti). Molto si può, potenzialmente, trasmettere dall’uomo al suino e viceversa. In città, i cinghiali malati, non eliminati da predatori, deboli accattoni della spazzatura, potrebbero diffondere parassiti ed eventuali patologie. Il principio di prevenzione e precauzione consiglia di minimizzare i contatti uomo - cinghiale.
Che fare, quindi? Innanzitutto, non alimentare i cinghiali in alcun modo, soprattutto, presso le abitazioni. Recintare elettricamente le coltivazioni. In assenza di predatori, ridurre il numero di esemplari: soprattutto giovani, in modo che le femmine capobranco si allontanino. Non fare nulla vuol dire anche lasciare il campo a esasperati che ricorrono a veleni, lacci e balestre, con sofferenze e danni maggiori. Meglio, pertanto, servirli a tavola!!


                                                    Marino Vocci e Nicola Bressi

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