Una breve storia delle tappe fondamentali sulla scoperta della struttura del DNA (ad opera di Crick e Watson nel 1953) ed un cenno alle principali funzione del DNA sono stati gli argomenti d'esordio della conversazione, tenuta dal Prof. Paolo Fattorini, Direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina Legale del nostro Ateneo, alla fine della conviviale del 21 ottobre scorso.
In particolare è stato evidenziato che il DNA codificante, ovvero quello che determina i caratteri fenotipici (cioè i caratteri morfologici e/o funzionali) di un individuo, occupa solo una piccola parte dell’intero DNA umano (non più del 2 %) e presenta, comunque, una scarsa variabilità -in termini di sequenza- tra soggetto e soggetto. Il rimanente 98 % del DNA è costituito, invece, da regioni non codificanti che presentano un’eccezionale variabilità tra individuo ed individuo tanto da renderlo unico sulla Terra. Ciò fu dimostrato per la prima volta nel 1984 da Sir Alec Jeffreys e proprio per tale motivo fu chiamato “DNA fingerprint” (impronta digitale del DNA). Di fatto, quindi, fu proprio dopo questa importantissima scoperta che iniziò l’era della Genetica Forense essendo il “DNA fingerprint” lo strumento ottimale –da un punto di vista teorico- per risolvere sia i casi di paternità controversa che di identificazione personale da traccia. L’utilizzo di tale metodo, tuttavia, si rilevò ben presto inefficace nei casi di identificazione personale a causa della degradazione a cui il DNA va spontaneamente in contro.
Tale problema sembrava essere del tutto risolto dalla messa a punto, nel 1988 da parte di Karry Mullis (Premio Nobel per la Chimica nel 1993), della PCR (Polymerase Chain Reaction). Mediante tale metodica (metodica che prevede la sintesi in vitro di milioni di copie dei tratti di DNA di interesse) è quindi oggi possibile ottenere informazioni sul “DNA profile” (o profilo del DNA) anche partendo da campioni biologici di esigue dimensioni (costituiti cioè da poche cellule) di non recente datazione. Anche grazie alla allo sviluppo di nuove tecnologie ed all’automatizzazione di alcune fasi analitiche, quindi, è attualmente possibile risolvere casi di identificazione personale partendo da minute macchie di sangue, mozziconi di sigaretta, tracce di liquido seminale, resti scheletrici, etc.
Come tutti i metodi scientifici, tuttavia, anche la PCR conosce dei limiti. I limiti principali sono rappresentati dall’esiguità del campione disponibile (è irrealistico ottenere un profilo completo del DNA da una singola cellula) e dal decadimento chimico a cui va incontro la macromolecola del DNA. E’ stato osservato, infatti, che campioni di DNA estratti da reperti datati anche solo settimane possono presentare un grado di danneggiamento chimico che li rende simili, da un punto di vista chimico, a DNA datati millenni. In studi di recente pubblicazione, ad esempio, è stato osservato che quasi tutti i campioni di DNA estratti da reperti forensi contengono l’Uracile, una base che non è presente nel DNA e che deriva dalla scissione della Citosina (una delle quattro basi del DNA).
Ciò comporta, da un punto di vista pratico, che non sempre l’utilizzo di queste innovative tecnologie permette di ottenere un profilo del “DNA completo” essendo acquisibile solo un “profilo parziale”. Pure frequenti, inoltre, i casi in cui l’analisi non porti ad alcun utile risultato. Occasionali, ma pur sempre riscontrati e documentati, in ultimo, i casi in cui singole analisi hanno portato a risultati non corretti. La confutabilità di tale metodo analitico, tuttavia, ad avviso dello scrivente e sulla base della Filosofia della Scienza proposta da Popper, dà alla Genetica Forense quel ruolo scientifico che, a volte, sia da parte dei mezzi di comunicazione che di certi ricercatori, è stato assorto a Metafisica o a pura Fantascienza.