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 Il tema della separazione delle carriere nella magistratura, che, da anni, suscita tra le parti in causa,  nell’opinione pubblica e sui mezzi di comunicazione un dibattito che  è, a dir poco, appassionato, è stato trattato con grande pacatezza, senso critico ed autorevolezza dal Procuratore Capo della Repubblica, presso il Tribunale Ordinario di Trieste: il Dr. Michele Dalla Costa, alla fine della conviviale del 3 febbraio 2010.
Nel processo accusatorio, l'imputato è assistito dal difensore, accusato dal Pubblico Ministero (P.M.) ed, infine, giudicato dal giudice. Il P.M. ha il compito di avviare il processo e introdurre, nello stesso, le relative prove a carico dell'imputato. Il difensore ha il compito di difendere l'imputato. L'esame delle prove avviene ad opera di entrambe le parti, compreso l'interrogatorio dei testimoni (la cosiddetta “cross-examination”), di fronte al giudice.

Obiettivo del giudice, e solo del giudice, è l'imparzialità. Compito del giudice è assicurare il rispetto delle norme di procedura e pronunciare la sentenza sulla base di quanto emerso nel corso del processo.
Nel processo inquisitorio, la figura del difensore non cambia. Il giudice e il P.M. però, anche se soggetti diversi, hanno obiettivi e funzioni simili ed il P.M. (magistrato inquirente), mentre avvia, d'ufficio, il processo, partecipa, assieme al giudice, all'introduzione delle prove nel processo, oltre che all'esame di queste ultime.
Il processo accusatorio è tradizionale, nei Paesi con struttura giuridica di “common law”, essenzialmente i paesi anglosassoni; mentre, il processo inquisitorio ha radici nel diritto civile romano e, poi, napoleonico.
In Italia, vige, dalla riforma del 1989, il sistema accusatorio. Ma, naturalmente, i sistemi processuali reali non ricalcano mai, con precisione, i modelli ideali. Ad esempio, obiettivo del P.M. è, pur sempre, la ricerca della verità. Per espressa disposizione dell'articolo 358, del codice di procedura penale, il P.M. ha il dovere di svolgere "altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini". Costituisce dovere giuridico, oltre che deontologico ed etico, fornire al Giudice tutte le prove e chiedere, se si ritiene, l'assoluzione dell'imputato. Proprio la formazione giuridica, comune alle due carriere di magistrato inquirente e giudicante, permette al magistrato inquirente di garantire la correttezza delle procedure, seguite dalle forze dell’ordine, nel corso delle indagini, volte alla individuazione e repressione dei reati.
La separazione delle carriere potrebbe rappresentare la tappa intermedia di una lunga marcia, destinata a concludersi con la trasformazione del P.M. in un "avvocato della polizia". Un "avvocato" destinato a mettere le sue competenze tecniche al servizio di una accusa preconfezionata, in uffici di polizia, operanti alle dipendenze dell'esecutivo.
Infatti, nell’attuale sistema giudiziario, il magistrato inquirente (il Pubblico Ministero), è totalmente indipendente. La separazione delle carriere dei P.M., da quella dei magistrati giudicanti, porrebbe i P.M. alle dipendenze del Ministro della giustizia. Questo potrebbe comportare, diversamente da quanto accade oggi, con l’avvio d’ufficio dei processi, una discrezionalità nell’apertura dei processi, a seconda delle indicazioni che il Ministro emanasse, in funzione delle aspettative e delle richieste dell’elettorato che lo sostiene.
Inoltre, la separazione delle carriere dei Giudici, da quelle dei P.M., eliminerebbe, o almeno limiterebbe, quelle importanti occasioni di crescita professionale, che si devono all'avere esercitato diverse funzioni, in particolare: la funzione requirente e quella giudicante, all'interno dell'amministrazione della giustizia.
La pacatezza, unita alla appassionata trattazione del tema, ha fatto presa su un auditorio attento e le numerose domande, che sono seguite alla relazione, hanno testimoniato l’interesse per un argomento di grande attualità e delicatezza.

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