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La storia delle comunità religiose, presenti a Trieste, è stata l’argomento della conversazione tenuta, in occasione della conviviale del 28 aprile, da mons. Ettore Malnati.  
Nulla o quasi conosciamo, su basi critiche e documentarie, della comunità ecclesiale di Tergeste in epoca pre-costantiniana. I nuclei tradizionali che possiamo faticosamente recuperare attraverso fonti posteriori, si riducono, per lo più, ai nomi di alcuni martiri, stranamente mai di vescovi, salvo che tali non siano stati quelli cui è riferito il ricorrente appellativo di presbiteri. Contatti con le comunità cristiane di Alessandria d’Egitto, sono, probabilmente, stati all’origine dei primi nuclei di cristiani, formati, verosimilmente, da membri di classi sociali più acculturate. Per secoli, la chiesa Triestina non ebbe gerarchie (vescovi). I cristiani erano laici. I suoi martiri San Giusto e Servolo erano l’uno avvocato, l’altro soldato. Trieste divenne sede episcopale, al termine del V secolo. Il suo primo vescovo fu Frugifero. Era, in principio, una diocesi suffraganea del patriarcato di Aquileia, ma entrò nella giurisdizione di Grado, dopo lo scisma dei Tre Capitoli nel 579.
Nel Medioevo, la Chiesa, a Trieste, annovera vescovi che hanno lasciato una rilevante impronta, come:  Rodolfo Pedrazzani (1302-1320) da Robecco d’Oglio, canonico di Cremona, che fu l’ultimo dei vescovi triestini a coniare moneta, forse, nel tentativo di restaurare il potere temporale perduto dai predecessori.

A a lui si attribuisce il coraggioso progetto di fondere la cattedrale romanica dell’Assunta e l’allungato sacello di S. Giusto, verosimilmente, costruito dal vescovo Frugifero, a meridione nell’unica chiesa a cinque navate. Così, mentre in Italia sorgevano le grandi cattedrali gotiche, Trieste, forse per ragione di costi, preferì servirsi delle strutture esistenti, allora in gran parte conservate per nostra fortuna. Nel programma di rinnovamento pittorico attuato dopo la fusione delle due chiese, furono stesi vari affreschi di cui restano poche tracce, ad eccezione delle Storie di S. Giusto sovrapposte al precedente ciclo romanico con lo stesso tema. La nuova cattedrale fu consacrata da Enrico di Wildenstein (1383- 1396), il primo vescovo tedesco imposto al Capitolo dal duca Leopoldo d’Asburgo dopo la discussa dedizione di Trieste all’Austria stipulata a Graz il 30 settembre 1382, che segna certo uno dei momenti culminanti della storia triestina: da allora infatti fino al 1918, in base al diritto ecclesiastico germanico, i vescovi triestini furono scelti tra i prelati accetti alla casa d’Austria e col beneplacito degli Asburgo. Nel 1330, il papa Giovanni XXII nomina vescovo di Trieste Fra Pace da Vedano dell'ordine dei predicatori; domenicano era Inquisitore in Lombardia. Fra Pace da Vedano fa pure costruire una cappella laterale a san Giusto, quella che poi diventerà l'attuale cappella dei Carlisti, e che papa Piccolomini farà dedicare a S Caterina ed ora è dedicata a san Carlo Borromeo. Una lapide fa memoria della sepoltura del vescovo fra Pace da Vedano, primo vescovo sepolto a san Giusto.
Enea Silvio Piccolomini viene nominato vescovo di Trieste il 17 aprile 1447, un anno dopo essere stato consacrato sacerdote. Il futuro papa Pio II, era stato letterato brillante e libertino, che, in qualità di segretario del vescovo Capranica, aveva partecipato al Concilio di Basilea. Lì aveva messo in mostra le sue doti di diplomatico e di oratore, che gli permisero, una volta diventato sacerdote, di progredire rapidamente nella gerarchia ecclesiastica, fino al soglio pontificio. Dell’unico vescovo di Trieste che sia diventato papa, la cattedrale di San Giusto conserva lo stemma. Le sue doti diplomatiche e la sua apertura mentale, oltre che consentirgli di risultare uno di coloro che hanno sviluppato il pensiero unificatore dell’Europa di oggi, lo portarono anche a compiere un tentativo di dialogo-conversione dell’impero turco, scrivendo una lettera a Maometto II, alla quale, peraltro, non ricevette risposta. A lui va, comunque, il merito di una apertura agli ebrei, esonerati dall’obbligo del battesimo dei figli (1459 – Concilio o Congresso di Mantova) data iscritta vicino al battistero di San Giusto.
L’ultimo  grande vescovo del medioevo, ricordato da mons Malnati, è stato Pietro Bonomo, letterato e diplomatico, autore di una traduzione della bibbia in Sloveno.   
Il primo documento ufficiale che attesti la presenza di una seppur piccola comunità ebraica a Trieste risale al 1236 e consiste in un atto notarile che menziona un certo Vescovo Giovanni che stipula un prestito di 500 marchi con l'ebreo Daniel David, per combattere i ladroni che all'epoca infestavano il Carso. Con la sottomissione della città all'Austria arrivarono in città ebrei provenienti dalle terre tedesche possedute dagli Asburgo. Durante il periodo medievale gli ebrei residenti nella città si dedicavano principalmente ad attività bancarie (usura come veniva definita all'epoca il prestito) e commerciali. Nel XVII secolo gli ebrei triestini, come quelli di molte altre città europee, si trovarono a dover combattere una battaglia con le autorità cittadine che fin dal 1587 li volevano chiusi in un ghetto ed emarginati dal resto della popolazione, alla fine la comunità fu obbligata a cedere alle richieste delle autorità nel 1684, ma già nel 1738 gli ebrei di Trieste non avevano più l'obbligo di rendersi riconoscibili tramite il segno giudaico. Nei decenni successivi molti ebrei giunsero nella città dalle comunità della Repubblica di Venezia specialmente dalla città di San Daniele del Friuli. Nel 1746 gli ebrei di Trieste si diedero una Costituzione e convocarono un'udienza "de li particolari" ossia di quei capifamiglia che contribuivano economicamente alle spese della comunità.
Il 19 aprile 1771 l'imperatrice Maria Teresa d'Asburgo concesse delle Patenti Sovrane (regolamenti) agli ebrei di Trieste a cui venivano riconosciute maggiori libertà; questo processo continuò con suo figlio Francesco II che con l'Editto di tolleranza ammise gli ebrei alle cariche di deputati della Borsa e a nuove professioni liberali. L'anno seguente venne creata la prima Scuola Elementare Israelitica con il nome di Scuole Pie Normali Israelitiche e nel 1784 anche le porte del ghetto furono aperte e fu data quindi la possibilità agli ebrei triestini di vivere accanto ai cittadini di altra fede religiosa. Nel XIX secolo gli ebrei continuarono sul sentiero dell'emancipazione assumendo ruoli importanti nel campo degli studi, dell'industria, del commercio e anche delle assicurazioni (le Assicurazioni Generali di Trieste furono fondate da tre ebrei). Samuel David Luzzato e Italo Svevo erano entrambi ebrei nativi di Trieste e nacquero in questo periodo di prosperità per la comunità israelitica. Nel 1912 venne inaugurata la nuova sinagoga monumentale e andò a rimpiazzare le quattro piccole sinagoghe di epoca precedente. Tuttavia oltre alla nuova sinagoga, rimaneva ancora in funzione una piccola sinagoga in Via del Monte. Infatti a Trieste c'erano Ebrei di rito sefardita, soprattutto quelli provenienti da Venezia e dalla Grecia ed Ebrei di rito ashkenazita, provenienti dall'interno dell'Impero Austro-Ungarico, soprattutto dalla Polonia austriaca (Cracovia e Leopoli). Nel 1931 Trieste contava 5.025 ebrei, nel 1938 quasi 7.000 (l'85% dell'intera comunità israelita della Venezia Giulia e Zara), un quarto circa dei quali non aveva però la nazionalità italiana[1]».
Nel 1938, durante il Ventennio fascista, vennero promulgate le leggi razziali e dal 1940 vi furono attacchi contro la comunità ebraica. Con l'occupazione nazista ci furono operazioni di rastrellamento nei confronti degli ebrei il 9 ottobre 1943 e il 20 gennaio 1944 quando l'obiettivo furono gli anziani e i malati della Casa di riposo israelitica "Pia Casa Asilo Gentilomo". Nonostante l’impegno di Mons. Santin e di altri eroici personaggi quali ad es. membri della famiglia Morpurgo, furono migliaia gli ebrei che persero la vita.
Nel 1945 solo 2.300 ebrei rimasero in città, nel 1965 erano solo 1.052. Oggi la comunità ebraica della città conta circa 700 membri.

I mussulmani a Trieste, nel 1700 seppellivano i loro morti in un cimitero vicino a quello dei greci ortodossi. Trieste, nei secoli, ha sempre ospitato cittadini di religione mussulmana. La maggior parte di loro proveniva da Sarajevo. Molti erano anche i turchi che raggiungevano Trieste, via mare,  per ragioni commerciali. Dagli anni ’70 del secolo scorso, una piccola comunità mussulmana si è inserita a Trieste in seguito allo sviluppo del Centro di Fisica di Miramare. Sono prevalentemente sunniti, privi di gerarchie religiose. 
Nel 1981 nasce l'Unione degli Studenti Mussulmani in Italia alla quale aderisce il Centro Islamico di Trieste alla sua fondazione alla fine degli anni ottanta.
 
La proclamazione del Porto Franco di Trieste, nel 1719, portò a Trieste molti immigrati di religione ortodossa, sia Greci che Serbi, che iniziarono a giungere, sporadicamente, in città, già nella prima metà del secolo, con un incremento, soprattutto, a seguito della Patente di riconoscimento dell’imperatrice Maria Teresa del 20 febbraio 1751: con essa si concesse ai Greci e agli Illirici di fondare una comunità religiosa e di erigere una chiesa a Trieste. Nel 1751, nella zona più prestigiosa della città, iniziò la costruzione della chiesa dedicata alla Santissima Annunziata e a San Spiridione.
Tra il 1751 e il 1781 affluirono a Trieste un po’ più di 150 Illirici - termine con cui venivano definiti i Serbi - provenienti dall’Erzegovina e dalla Bosnia, dalla Dalmazia, dalle Bocche di Cattaro e dal Montenegro - e 542 Greci.
La costituzione ufficiale di una Confraternita greco-illirica avvenne nel 1756; il suo primo Statuto fu deliberato dall’assemblea della confraternita ed approvato dall’imperatrice Maria Teresa nel 1772.
Nel 1781 la comunità ortodossa triestina si divise nelle sue due componenti, serba e greca la quale costruì la sua chiesa.  Sita in Riva Tre Novembre la chiesa greco – ortodossa di S. Nicolò venne edificata tra il 1784 e il 1787 (anno in cui venne consacrata, sebbene ancora incompiuta, dall’abate Damasceno Omero). Sottoposta a doversi restauri, venne completata a cavallo tra il 1819 e il 1821 dall’architetto Matteo Persch (uno dei massimi esponenti del neoclassicismo italiano).

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