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Il futuro di Trieste è stato l’argomento della conversazione tenuta dal Dr. Paolo Possamai, Direttore de “Il Piccolo”, alla fine della conviviale del 16 giugno scorso. La città, che si fa amare da chiunque la visiti e, tanto più, ci viva, corre il rischio di assistere ad un lento, ma inarrestabile declino, se non riesce a trovare nuove risorse per produrre reddito. L’apertura dei confini, ha messo in risalto la capacità di crescita della vicina Slovenia, che, con una imprenditoria giovane e dinamica, con una politica accorta, sta attirando capitali ed imprenditori da tutta Europa, ma anche dal nostro territorio. Il Piccolo stesso avrebbe avuto l’opportunità per dislocare, oltreconfine, la tipografia, ricavandone benefici economici notevoli. Se non ha accettato l’offerta è stato per un fatto culturale, non certo economico.  
Gioca strani scherzi, la storia. Trieste, che dopo essere stata amputata del suo retroterra, ha sofferto per anni del suo essere schiacciata, contro la cortina di ferro, si trova, oggi, per certi aspetti, quasi, a rimpiangere qualcosa dei tempi andati. Questo, perché si trova alle prese con  la concorrenza, al di là del confine, di una realtà più giovane, più fresca, più competitiva,.       
Trieste, nella sua non lunga vita, ha avuto, soltanto, due amori: l’Italia e il mare. Entrambi, dopo un felice avvio, si stanno rivelando sfortunati. La seconda unione con la patria non risulta feconda; la crisi economica fa sì che lo Stato tagli risorse ed una Città, con un alto numero di dipendenti statali, in una Regione a Statuto Speciale, qual è il FVG, risulta più penalizzata di altre. Il porto, verso il quale la città si protende, è ignorato dalle navi italiane e straniere, con una frequenza che, ogni giorno, si fa più allarmante.
Come conservare il benessere?

La bellezza del territorio è la prima risorsa, da sfruttare, attraverso il turismo. Molto deve essere fatto, in questo settore. Il + 4% di incremento, ottenuto nel 2009, in questo settore, è un dato positivo, ma non sufficiente. Le 800.000 presenze, registrate a Trieste, nell’ultimo anno, sono troppo poche. Una città come Rovigo, ne ha registrate 1.600.000. I musei di Trieste devono migliorare la loro visibilità. Anche nel turismo congressuale, c’è molto lavoro da fare. Oltre a migliorare la recettività alberghiera, c’è bisogno di migliorare la sede congressuale. 
In un recente convegno, tenutosi a Trieste, dal titolo “La competitività delle destinazioni congressuali italiane: un’analisi empirica”, sono stati presentati i risultati di un’indagine la cui finalità è stata quella di verificare la competitività di sei destinazioni congressuali del Paese, selezionate a campione. Dall’indagine, è emerso - fra i vari dati  - come l’80,16% degli operatori, le cui risposte sono state considerate valide, non abbia mai organizzato dei convegni a Trieste, contro il 19,84% che, invece, ha già allestito, in passato, degli eventi in città. Delle sei città, prese in esame, quello triestino è il dato che evidenzia lo scarto maggiore fra le due risposte. Un altro dato, che pone in luce i margini di crescita del turismo a Trieste, è che, mentre a Venezia si organizzano 1600 congressi internazionali l’anno, a Trieste se ne organizzano 5-6.
A Capodistria, attraccano 80 navi da crociera all’anno, a Trieste 10.
Dopo alcuni anni di crescita, quel porto al quale è indissolubilmente legata, da quasi tre secoli, la vita della città, ha subito, l’anno scorso, un crollo del 17%. Il più drammatico d’Italia, eccetto Livorno. Tanto per dare l’idea: nello stesso 2009, Venezia ha perso solo l’1,2% e Genova è tornata a crescere.
Trieste dovrebbe, forse, interrogarsi con maggiore profondità, sul rischio di perdere per strada pezzi fondamentali della sua storia, della sua cultura, della sua economia, che si chiamano: Generali e Allianz (ovvero Lloyd Adriatico e Ras fuse assieme). Non è affatto scontato che l’una e l’altra possano mantenere, qui, la loro base operativa, e lo hanno detto a chiare lettere i loro top manager, se la città non sarà competitiva: che vuol dire, in primis, raggiungibile per aereo, treno, autostrada. Niente treni diretti per Milano, Roma, Vienna. Ma chi può fare impresa in queste condizioni?
Ancora nel 1977, c’erano 14 collegamenti internazionali giornalieri, che consentivano agli abitanti di Trieste di sentirsi nel cuore dell’Europa, grazie a treni che portavano a: Vienna, Mosca, Varsavia, Istanbul, Atene, Sofia, Belgrado, Zagabria, Lubiana. Ne sono rimasti due. Non bastasse, per andare a Milano, si impiegano quattro ore e un quarto (come 33 anni fa), per andare a Genova sei ore e un quarto: mezz’ora in più. Direte: meglio prendere l’aereo. Per Milano non c’è più neanche quello.
In un mondo, in cui il 95% del commercio estero avviene con i container trasportati da navi, sempre più gigantesche, i fondali giuliani potrebbero garantire a Trieste un futuro, che Genova e gli altri porti italiani non possono sognarsi. Eppure, i confronti sono impietosi. Dicono le statistiche, del centro studi del porto di Amburgo, che Trieste, con i suoi 335.943 containers, movimentati nel 2008 (e scesi molto nel 2009), pesa, non solo, cinque volte meno di Genova e 32 volte meno di Rotterdam, ma anche dieci volte e mezzo meno di Valencia. Il che, per un porto che era il più grande dell’Adriatico, il decimo dell’Europa, il terzo del mondo, per il traffico dei caffè, è umiliante. Più ancora, però, secca a molti triestini, il nome che nella classifica è immediatamente davanti: Capodistria.
Oggi, Capodistria garantisce meno tasse (il 23% fisso in tutto) e un costo del lavoro dimezzato. Un operaio costa 41 mila euro qui e 23 mila di là, scaricare un container: 90 euro qui e 72 là, l’ancoraggio: 15 mila euro qui e 4.500 là, un rimorchiatore: 16mila euro qui e 6 mila là. Non bastasse, le tariffe di Trenitalia sono del 30% più alte di quelle slovene e del 20% più alte di quelle dell’Europa del Nord. Dal 2017 sarà pronta l’alta velocità che collegherà il porto al centro Europa. La verità, è che, per sfruttare tutte le enormi potenzialità del Golfo, i porti di Trieste e di Capodistria dovrebbero lavorare insieme. Fare sistema. Questo è l’augurio con il quale il Dr. Possamai ha concluso la sua relazione, cui è seguito un vivace dibattito.

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