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Una breve storia dell'orologio è stata raccontata dal Dr. Roberto Borghesi nel corso della conviviale dell'8 settembre scorso. Ogni uomo, da sempre, riempie la propria vita con attività distribuite nel corso della giornata, secondo i ritmi del sonno-veglia, giorno notte. L’anelito a definire il tempo è insita, probabilmente, in questa consapevolezza. Già 5000 anni fa, i Babilonesi, mossi da questo bisogno si accorsero che il tempo si poteva misurare, calcolando l’intervallo tra un plenilunio ed il successivo. Assodato che questo si compiva in circa 30 giorni e che, ogni 12 cicli di luna piena, la luce, emessa dal nostro satellite, colpiva, nello stesso punto, un indicatore graduato, essi dedussero, che un anno solare contava 360 giorni (12 mesi da 30 giorni). Gli Egiziani affidavano, invece, all’ombra delle piramidi il compito di scandire il trascorrere del tempo. La prima forma di segna tempo apparve con la "meridiana", cioè un paletto conficcato nel terreno che, a seconda della posizione del sole, proiettava l' ombra dello stesso paletto sul terreno, dando così la possibilità agli antichi di captare in quale momento della giornata si era giunti. La stessa meridiana, nei secoli, subì notevoli migliorie, si iniziarono a stabilire sul terreno delle presunte fasce di tempo, riconoscibili da tutti, dopo di che, nel trascorrere dei secoli, la meridiana si evolve e fu trasferita dal terreno ai muri delle case, dei campanili delle chiese e in qualsiasi altro luogo poteva essere letto da tutti. Però, alla base del funzionamento della meridiana c'era il sole, che, ovviamente, di notte, non era presente e, quindi, questa tipologia di orologio non poteva tornare utile.

Fin dal XV secolo avanti Cristo, è documentato che gli Egizi misuravano il tempo con clessidre.
I cinesi perfezionarono  la tecnica del calcolare lo scorrere del tempo, in base alla consunzione di un materiale: ecco le lampade ad olio e le candele tarate in modo da consumarsi entro predeterminati limiti. Addirittura, sviluppando la conoscenza delle proprietà convettive delle lenti, riuscirono a realizzare un segnatempo, azionato da micce innescate da lenti esposte al sole, che azionavano cariche esplosive. L’ulteriore sviluppo di queste tecniche portò, nel III sec. a.C., alla messa a punto del famoso orologio ad acqua di Ctesibio.
Nel Medioevo, pare proprio che i monaci avessero risolto i problemi, legati al passare del tempo. Il loro tipo di vita, governato da ritmi e tempi precisi, era quello che maggiormente necessitava di regolazione o “temperazione”, come si usava dire allora. Nelle loro giornate, si susseguivano, infatti, i tempi dei riti, tempi di preghiere, tempi di lavoro, tempi del sonno, ecc...
Serviva qualcosa che scandisse la durata di queste azioni e “l’orologio” “("horu lego" oppure, secondo altra etimologia, "horologium”) cominciò a prendere forma.
Si ha, infatti, notizia della costruzione di un primo “svegliatoio monastico ad acqua”. Nella sua descrizione, si parla di un quadrante graduato, di ruote dentate per i suoni (emessi da piccole campane a ciò sollecitate da martelletti che le percuotevano), di una catena, con peso collegato e di un galleggiante, posto in un recipiente contenente acqua, di cui si variava il livello (tipo l’orologio di Ctesibio).
Da questo “archetipo”, si sviluppò, in seguito, un altro svegliatoio più semplice e più perfezionato: quello ad azionamento totalmente meccanico. Non più la forza dell’acqua, bensì la costante forza di gravità, che si esercitava tramite opportuno peso, legato a una corda avvolta su un tamburo rotante, iniziò ad azionare questi svegliatoi. Il tamburo, ruotando, sollecitato a ciò dalla corda che si svolgeva, muoveva le ruote ad ingranaggi, a lui collegate. Fu necessario, però, inserire “qualcosa” che impedisse l’immediato srotolamento e la conseguente velocissima rotazione incontrollata del tamburo e degli ingranaggi, che avrebbe segnato non più il tempo, ma solo la fine prematura dello strumento! Nacque, così, il primo tipo di “Scappamento”: una barra a bilanciere con dei pesi agganciati, regolabili dal centro alla periferia della stessa (per rendere l’idea pensiamo al peso della stadera), in seguito detta foliot, rendeva lenta e costante la rotazione del tamburo e degli ingranaggi del “treno del tempo”. Sull’asse verticale del bilanciere, vi erano delle palette che arrestavano e liberavano (lasciavano “scappare”) ciclicamente i denti della ruota (conformata a denti di sega e detta caterina) calettata sull’asse su cui agivano i detti ingranaggi.
Agli svegliarini monastici, per il loro utilizzo, forzatamente semplici, costituiti nella maggioranza da tre ruote, due pignoni, una campanella, oltre al sistema di scappamento e che – si dice – sbagliassero almeno di un’ora al giorno, fecero seguito i grandi orologi meccanici da torre e da campanile. Il primo esempio dei quali risale al 1200 ed ornava il Palais de Justice di Parigi. Erano dotati anche di notevoli complicazioni astronomiche e di automi, meraviglia della meccanica di allora, e che, ancora oggi, lasciano esterrefatto il pur evoluto visitatore.
Se prima gli orologi battevano le ore, in pratica solo per i monaci, ora devono servire a segnare le ore per tutti, quindi non più solo le ore canoniche, ma il tempo con tutte le ore utili.
Con la grande ripresa della produzione artigianale e dei commerci: artigiani, mercanti, insegnanti, pittori, artisti e musici, guerrieri, nobili e viandanti e tutti coloro che, in genere, potevano permetterselo, viaggiano e si spostano sempre più frequentemente. Vengono così diffuse: storia, avvenimenti e ogni tipo di conoscenza, oltre, naturalmente, alle merci, inizialmente barattate e, in seguito, commerciate.
Nasce così la necessità di conoscere, in modo autonomo, il trascorrere del tempo. Per questi motivi, nel successivo periodo rinascimentale, non basterà più solo l’orologio da campanile o da torre, "rimpicciolitosi" nel frattempo. Nacquero anche i primi orologi da tavolo, caratterizzati da un sola lancetta, cioè quella delle ore, ma, ovviamente, la precisione del minuto non esisteva, si poteva solo approssimare al quarto d' ora.
A prendere il posto di questi orologi da tavolo, furono i tanto amati ed eleganti orologi a pendolo, rimasti, per altro, un oggetto d' arredamento di classe, ai giorni nostri. La prima forma di orologio a pendolo nacque nel 1657. Lo si realizzò per avere la massima precisione al secondo. I primi pendoli erano costituiti da una barra, di legno o di metallo, tenuta ferma da un ' estremità e libera dall' altra, dove era collocato un peso, che serviva ad effettuare delle tarature, per settare la precisione. Anche qui vi furono delle migliorie, quando furono inventati gli scappamenti, particolari meccanismi per rendere questi orologi primitivi sempre più precisi.    
Infatti, nel 1670 fu inventato un nuovo meccanismo denominato a scappamento dove si passava dal meccanismo del moto alternato del pendolo, al moto rotatorio creato da una corona. Questo fu un momento di grande successo nel settore dell' orologeria, dove i mastri orologiai si divertivano a creare e a personalizzare i pendoli che utilizzavano questo nuovo meccanismo.
Perfezionamenti decisivi, nell'ottenimento della precisione degli orologi, furono l'applicazione della
molla a spirale e del bilanciere, inventata intorno al 1660 da Robert Hooke, 1° scappamento a cilindro di Georges Graham, che rimase in uso negli orologi da tasca fino al XIX secolo, e lo scappamento ad ancora, inventato nel 1765 dall'inglese Thomas Mudge.
Da questo momento in poi, furono diversi i tentativi di inventare un sistema sempre più preciso e sempre meno ingombrante, per dare la possibilità a tutti di poter leggere il tempo in qualsiasi momento, e in qualsiasi luogo.
L’evoluzione, però, continua inarrestabile: si migliorano i congegni meccanici, se ne riducono dimensioni e pesi, tanto che gli stessi, non più grandi del palmo di una mano, possono essere contenuti in un taschino. Con ulteriori sforzi di miniaturizzazione e continuo perfezionamento, senza però mai stravolgere la basilare “organizzazione meccanica”, si giunge infine all’ orologio da portare al polso.

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