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Perché ha scelto di vivere a Trieste? E’ la domanda che chiunque incontri Veit Heinichen, il famoso scrittore tedesco, che, da anni vive a Trieste, gli rivolge. La risposta è stato l’esordio della conversazione tenuta da uno dei più grandi autori di romanzi noir contemporanei, nel corso della conviviale del 15 settembre scorso.
   Sono venuto per la prima volta a Trieste nel 1980, perché mi incuriosiva visitarla. Mi domandavo che cosa si nascondesse dietro questa città che è un mito, la città degli scrittori. Sono ritornato un paio di anni dopo, e, come succede, conosci delle persone e torni sempre più spesso.
   Nel ’97 ho comperato una casa e nel ’99 mi sono trasferito a vivere qui: è come se nella mia vita ci fosse stato un cartello segnaletico che puntava verso Trieste. Quando ho iniziato a scrivere non potevo non scrivere di Trieste. Il mio legame con la città è fortissimo, forse perché sono nato in una città vicino al confine con Francia e Svizzera, sono un figlio di confine e Trieste è la città dei confini, dei contrasti, ma anche dei ponti tra il mondo Mediterraneo e il mondo del Nord, tra i Balcani e l’Occidente, tra il mare e la montagna, fondata sulla presenza di 90 etnie diverse.
   Se è vero che ogni luogo ha la sua nevrosi, mi pare ci sia un’alta compatibilità tra la mia nevrosi personale e quella di Trieste: io mi sento a casa qui e non sono neppure visto più come uno straniero. E come mi capita di dire spesso perché a Trieste c’è stato Basaglia ed io mi sento protetto. Battute a parte, non vi deve sembrare strano che un laureato in economia, con vocazione imprenditoriale (direttore di casa editrice) si sia stabilito a Trieste per scrivere. Se girate per città, guardando i palazzi neoclassici, vi accorgerete che spesso nelle facciate appaiono le sculture di Mercurio, il dio del commercio, dei ladri e Apollo il dio della poesia e della cultura.

Ecco spiegata una apparente stranezza: l’anima imprenditoriale e quella culturale non sono in contrasto fra loro ma si completano nella città e nello scrittore. Umberto Saba gestiva un night a Milano, ma era stato gestore anche di un cinema a Trieste. In città, acquistò libreria antiquaria Mayländer , per investire i soldi di una eredità. Ma da operazione speculativa divenne ulteriore motivazione per dedicarsi alla scrittura. Italo Svevo portava Mercurio ed Apollo dentro di sé. Figlio e genero di commercianti, impiegato di banca e poi nell’azienda del suocero impiegò lungo tempo prima di raggiungere la celebrità.
Johann Joachim Winckelmann (morto a Trieste nel 1768) fu un archeologo e storico dell'arte tedesco Il suo capolavoro “Storia dell'arte dell'antichità” fu ben presto riconosciuto come contributo importante nella lettura delle opere d'arte dell'antichità. Ricevette in dono dal cancelliere Kaunitz e da Maria Teresa rispettivamente una medaglia commemorativa in oro, un'altra in oro e due in argento. Il 28 maggio partì da Vienna e il 1º giugno arrivò a Trieste. Prese una stanza alla “Locanda grande” in attesa di una nave per Ancona. Fece la conoscenza di Francesco Arcangeli, un cuoco originario di Pistoia con precedenti penali, che incoraggiò i suoi approcci con l'intenzione di derubarlo delle medaglie ricevute in regalo alla corte imperiale. L'8 giugno venne assassinato da Arcangeli e il 9 giugno venne sepolto nel cimitero della cattedrale di San Giusto.
Stendhal nel 1830, anno in cui pubblica il rosso ed il nero è nominato console a Trieste. Frequentava il Tommaseo. Odiava la città per la presenza della  bora: Meglio essere rapiti da una banda di ladri catalani che dalla bora.  Giulio Verne soggiornò a Trieste. Come pure Sigmund Freud.
Richard Francis Burton console inglese a Trieste tra il 1872 e il 1890, famoso perché, travestito, fu il primo inglese che entrò alla Mecca. All'inizio fu amaramente deluso, ma poi iniziò ad apprezzare la città tanto da viverci per gli ultimi diciotto anni della sua vita. Qui scrisse un libro sulle Terme Romane di Monfalcone.
Il suo libro di gran lunga più celebrato è la traduzione de Le notti arabe, pubblicato in sedici volumi dal 1885 al 1888 con il suo titolo di Le mille e una notte. Si dice sia stato scritto nel borgo carsico di Opicina, alle spalle di Trieste', in un albergo che ora è abbandonato.
Detestava il clima di Trieste, in particolar modo la Bora. Il modo con cui descriveva i pregi ed i difetti della città sono di una incredibile attualità.
James Joyce visse 11 anni a Trieste, cambiando 12 volte abitazione. Un fratello è sepolto in città. A Rilke non piaceva Trieste, la paragonava a Madrid. Una lista di così illustri personaggi del passato cui si aggiunge la presenza di scrittori contemporanei del valore di  Boris Pahor e Claudio Magris, giustifica ampiamente il motivo per cui Heinchen ha scelto Trieste per vivere e scrivere.
Il noir, poi, è il mezzo più adatto per descrivere la società moderna. Basta sfogliare un giornale per vedere che tipo di notizie riporta, fondi neri in politica, falso in bilancio nell’economia, evasione fiscale, plagio nella cultura, doping nello sport. Il contesto sociale è cambiato negli ultimi decenni, ci sono nuovi delitti, immigrazione di clandestini, il fatturato del traffico mondiale di uomini ha superato quello della droga.
Il delitto accompagna il progresso sociale e viceversa. E il giallo è il mezzo di trasporto ideale per raccontare tutti questi punti che bruciano.
Trieste è una città complessa, piena di problemi, anche se ci si limita solo alla storia più recente.
Ma, nel contempo, è una città dall’elevata qualità della vita, dove è facile stringere amicizie e legami così forti da impedire, a chiunque gli capiti di arrivarci, di muoversi. E’ la conservazione di questi valori l’obiettivo degli sforzi di tutti gli uomini di cultura.


 

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