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Ogni essere vivente ha all’interno delle proprie cellule una vera e propria banca dati, il genoma, che contiene le informazioni necessarie per lo sviluppo e le funzioni dell’intero organismo. Il genoma è costituito un lungo filamento, composto dalla successione di 4 molecole chimiche semplici (i nucleotidi A, G, C, T). Nell’uomo, questo filamento è lungo circa 2 metri e mezzo, suddivisi in 23 segmenti (i cromosomi); i nucleotidi che lo compongono sono circa 3 miliardi. Le funzioni delle varie cellule di un organismo sono eseguite dalle proteine, che vengono appunto sintetizzate sulla base delle informazioni del DNA; la sintesi delle proteine a partire dal DNA avviene secondo regole identiche in tutte le specie; queste regole sono codificate dal cosiddetto ‘codice genetico’.
L’universalità’ della struttura del DNA e del codice genetico in tutte le specie che vivono sul pianeta Terra è alla base dell’ingegneria genetica, una disciplina che mira a trasferire parti del materiale genetico da un organismo ad un altro. Per lo sviluppo dell'ingegneria genetica è stata fondamentale la scoperta di un tipo di proteine prodotte dai batteri, chiamate enzimi di restrizione, capaci di tagliare fisicamente le molecole di DNA in corrispondenza di specifiche sequenze. Grazie a queste ‘forbici chimiche’, è oggi possibile unire frammenti di DNA originariamente disgiunti, o addirittura appartenenti a due organismi diversi, in una sorta di taglia e cuci che risulta nella generazione di nuove molecole di DNA, non esistenti in natura. Agli scopritori degli enzimi di restrizione, Werner Arber, Dan Nathans e Hamilton Smith è stato assegnato nel 1978 il Premio Nobel per la Fisiologia o Medicina.                              continua

Di fatto, le possibili applicazioni dell’ingegneria genetica sono estremamente ampie. In ambito agricolo, è oggi possibile creare delle piante geneticamente modificate, al cui genoma vengono aggiunti dei geni capaci di conferire delle proprietà altamente desiderabili, come ad esempio la resistenza all’infestazione da parassiti, o la capacità di crescere anche in condizioni di siccità o di temperature estreme. Analogamente, la tecnologia del DNA ricombinante ha consentito di generare animali geneticamente modificati, il cui valore in ambito scientifico e medico è oggi indiscutibile. Ad esempio, è possibile inserire nel genoma dell’animale delle mutazioni che causano una patologia umana, generando così modelli animali di malattia su cui sperimentare nuovi approcci terapeutici. Ancora, è possibile modificare geneticamente gli animali per rendere le loro cellule più simili a quelle umane e quindi aprire la strada al trapianto di tessuti dall’animale all’uomo. Infine, è possibile inserire dei geni in particolari organi dell’animale, come ad esempio la ghiandola mammaria delle mucche o delle pecore, per far sì che nel latte vengano secrete delle sostanze ad uso terapeutico, generando così delle ‘industrie biologiche’ di farmaci.
Parallelamente alla generazione di organismi geneticamente modificati, la tecnologia del DNA ricombinante ha trovato ampio spettro di applicazione nella produzione di molecole con proprietà farmacologiche. Il primo brevetto risale al 1982, quando negli Stati Uniti venne sviluppato un ceppo di batteri ingegnerizzati con il gene dell’insulina umana per la produzione di grandi quantità di questo ormone. Prima di quel momento, la terapia del diabete si avvaleva unicamente di insulina di origine animale, prelevata da animali destinati alla macellazione, con enormi limiti di disponibilità e di tollerabilità. Dopo l’insulina, il numero di bio-farmaci, prodotti mediante l’ingegneria genetica, è cresciuto in maniera rapidissima. Tra questi, l’ormone della crescita per la terapia dei bambini con nanismo ipofisario su base genetica, il fattore VIII della coagulazione per il trattamento dell’emofilia A, l’eritropoietina per stimolare la produzione di globuli rossi nei pazienti con insufficienza renale, l’attivatore tissutale del plasminogeno, comunemente usato per dissolvere i coaguli ematici in seguito a ictus cerebrale o infarto del miocardio, gli interferoni per l’epatite C e la sclerosi multipla, insieme a diverse centinaia di altri farmaci.
Il progressivo aumento delle conoscenze sul funzionamento dei geni umani e sull'effetto delle loro mutazioni, unitamente all’esplosione delle tecnologie dell’ingegneria genetica nei numerosi campi di applicazione sopra menzionati, hanno progressivamente generato l'idea di poter utilizzare i geni stessi come "farmaci" per la terapia delle malattie umane. E' nato così il concetto di "terapia genica", originariamente concepita quale terapia sostitutiva in una vasta serie di malattie con ereditarietà recessiva, ovvero in cui è sufficiente una copia normale di un gene perché la malattia non si manifesti. Questo è il caso, ad esempio, della fibrosi cistica, dell’emofilia, delle distrofie muscolari, e di alcune migliaia di difetti degli enzimi indispensabili per la funzione delle cellule.
A partire dal 1989, anno della prima applicazione della terapia genica all’uomo, sono state eseguite più di 1500 sperimentazioni cliniche, che hanno coinvolto alcune decine di migliaia di pazienti. Nel valutare nel loro complesso i risultati oggettivamente conseguiti, può superficialmente sembrare che il progresso sia stato lento. A tuttora, la terapia genica rimane una disciplina molto giovane, con obiettivi e strumenti di azione non convenzionali ed estremamente innovativi, tali quindi da richiedere ulteriori tempi di sviluppo, un processo quindi molto più lungo di quello dei farmaci convenzionali. Tuttavia, per molte malattie, la terapia genica continua, di fatto, a rappresentare l'unica speranza possibile di guarigione. In questo contesto, è anche interessante osservare che, nel corso degli anni, sia progressivamente aumentato il numero di applicazioni di terapia genica per la terapia delle malattie complesse dell'adulto, tra cui in prima linea i tumori, le malattie cardiovascolari (in particolare, l’ischemia del miocardio e lo scompenso cardiaco), e le malattie neurodegenerative, quali il morbo di Parkinson ed il morbo di Alzheimer.

Mauro Giacca
18 dicembre 2011

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