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L'inizio
Un giorno, alle elementari,  la lezione era finita dieci minuti prima del suono del campanello e il maestro, che forse non sapeva come riempire quello spazio, chiese: “Chi sa raccontare una favola?” Alzai la mano e cominciai a raccontare. La cosa ebbe un certo successo tra i miei compagni, tanto che da quella volta  il maestro ogni tanto diceva: “Se farete i bravi oggi finiremo un po' prima e vi farò raccontare una storia da  Marani.”  Iniziai raccontando tutte le fiabe che mi aveva narrato mia nonna ma ad un certo punto queste si esaurirono, ed allora presi ad inventarne delle nuove.  Più tardi scoprii la bellezza di raccontare attraverso le immagini. Fu quando, sempre alle elementari, l'insegnante disse che i disegni più belli sarebbero stati appesi alle pareti della classe. Alla fine dell’anno il 50% dei disegni colorati appesi ai muri erano miei. Cominciava a nascere in me la passione per la pittura. Alle  medie le prime caricature dei professori, poi di alcuni politici,  qualche periodico cominciò a pubblicarmele così, in seguito, accanto a tele e colori mi trovai a disegnare per i giornali.                      continua

 

Osservazioni
Va considerato che l’uomo ha sempre avuto un’enorme fame di immagini, fin dai tempi che creava graffiti sulle pareti delle caverne. Le immagini degli animali che, con la sua abilità, riusciva a catturare e rendere fisse, immobili nella roccia, avevano un qualcosa di magico, qualcosa che avrebbe aiutato a fare un buon bottino quelli che uscivano per andare a caccia.
 Per secoli l’uomo ha potuto vedere, attraverso le immagini create dagli artisti, cose che altrimenti non avrebbe mai visto. Città lontane, immagini sacre, ritratti di grandi personaggi. Pensiamo a quando, nella prima metà del 700, a Venezia, Pietro Longhi  realizzò una stampa che rappresentava un rinoceronte, tutti i veneziani corsero guardare questa stampa, era l’unico modo per vedere questo strano animale che, altrimenti, sarebbe stato ben difficile anche solo immaginare. In questo modo le immagini passavano attraverso l’occhio dell’artista prima di essere fruite da tutti gli altri. Indubbiamente l’occhio dell’artista diventava un filtro tra la realtà e l’opera contribuendo così, con il proprio senso estetico, ad affinare anche il gusto anche di chi guardava. Non erano solo quadri o sculture, ma erano palazzi, mobili, affreschi, stoffe, arazzi, monumenti.
 Il problema era che queste immagini, queste opere, erano fisse immobili in un capitello di pietra, ferme nelle tele dei quadri, chiuse dentro palazzi e musei, insomma non circolavano. A tutto questo pose rimedio l’invenzione della stampa e della carta che contribuirono enormemente alla circolazione delle immagini e delle idee.
 Un mio vecchio professore diceva: "Se gli antichi greci avessero conosciuto la stampa, oggi la nostra civiltà sarebbe avanti di 2000 anni ".  Con l’invenzione della stampa e della carta cominciano a nascere i giornali. Questi non erano composti esclusivamente da  testo, si usava abbellire i bordi delle pagine con immagini e decorazioni, spesso a forma di tralci di vite, ed è da qui che nasce la parola “vignetta” che ancora oggi usiamo. Con i giornali inizia anche una essenzializzazione del linguaggio. La gente comincia ad afferrare il significato delle cose anche attraverso pochi simboli essenziali: un monello con un berretto frigio rappresenta il popolo, una tonaca rappresenta il clero, una corona il re.
Oggi siamo costantemente bombardati da un’infinità di immagini. In mezzo a tanta iconografia ci sono immagini di alta qualità ma ce ne sono anche moltissime banali o addirittura brutte o di cattivo gusto. Per cogliere e godere le rappresentazioni migliori, ci vuole sensibilità ed educazione al bello, perché il gusto verso la bellezza, specialmente nel campo dell’arte, non è innato in tutte le persone, ma va educato.

Cenni su Trieste
A Trieste c’è sempre stata una grande passione verso l’arte, la musica, il teatro. Nel 1815 fu fatta, al Palazzo della Borsa, la prima grande mostra d’arte collettiva alla quale parteciparono 250 artisti che provenivano oltre che dall’Italia, anche dall’Austria e dall’Ungheria. La Trieste di allora contava 60.000 abitanti e furono venduti ben 6.000 biglietti di ingresso alla mostra in quanto molte persone tornavano più volte, essendo il luogo dell’esposizione anche un punto d’incontro. Le signore andavano a sfoggiare vestiti e cappellini, i signori per incontrarsi e concludere affari.
Molte case a Trieste abbondavano di quadri, stampe, disegni e mobili di pregio. Andavano di moda i salotti letterari che ospitavano importanti personaggi dell’arte e della cultura. Questi salotti andarono avanti fin quasi al 1980 e ricordo che, ero ancora molto giovane quando fui invitato agli ultimi  martedì letterari nel salotto di Anita Pittoni.
 C’erano poi i Caffè, deve si riunivano vari gruppi di artisti e letterati. Al caffè Garibaldi, per esempio, che un tempo si trovava sotto al Municipio in piazza Unità, si incontravano, tra gli altri, Svevo, Saba, Giotti.  Si vedevano verso il tardo pomeriggio e poi dopo grandi chiacchierate, discussioni e talvolta anche litigi andavano a cena a casa, per ritornarvi più tardi e continuare facendo le ore piccole.
A partire dagli anni ‘60  al Caffè Stella Polare si trovavano Carà, Mascherini, Guacci, Devetta, Righi.
 Il Caffè Moncenisio, in via Carducci, era frequentato oltre che da pittori e scrittori, anche da attori del Teatro Stabile, tra questi, che poi diventerà molto famoso con il cinema, c’era Gian Maria Volontè.
 In piazza Goldoni c’era la Taverna Murago, frequentata da Sabino Coloni. Per raggiungere il locale, posto all’interno rispetto alla strada, si doveva attraversare una galleria sotto le case. Questa galleria era stata tutta affrescata da pitture di una quindicina di artisti tra i quali oltre allo stesso Coloni ed al sottoscritto, c’erano opere di Bastianutto, Milia, Eredità, Cassetti, Cuceck, Clelia Mazzoli e Pedra Zandegiacomo. I giornali la chiamarono “la Cappella Sistina del vino”.
 Al Re di Coppe in via Ghega si trovavano Sormani  e Rosignano. Brumatti era invece un solitario che frequentava il Caffè della Stazione delle Corriere, oggi Sala Tripcovich, andava a leggere i giornali, in un angolino, dietro un grande appendiabiti, per non farsi trovare. 
In  via Carducci la "Trattoria da Vittorio" era frequentata da Guglielmo Grubissa, un ottimo acquerellista, esule da Pola, appassionato di automobili. Negli anni del boom economico ha cominciato a scambiare alcuni suoi quadri con delle automobili usate, ne aveva oltre una decina, le teneva parcheggiate attorno al piazzale di Montebello. In quel tempo l’assicurazione non era obbligatoria e  il bollo si poteva pagare anche solo per tre mesi e lui ogni tre mesi pagava il bollo per una macchina e circolava con questa. Tra le altre aveva una 600 nera con la quale, alla domenica mattina, andava su e giù per il Corso, che al tempo era a doppio senso di marcia, lui guidava e la fidanzata, una nota pittrice, seduta sul sedile posteriore salutava i conoscenti dal finestrino con la mano, in maniera compita, quasi regale. Ci sono tante di queste storie e  anedddoti curiosi,  penso che quando andrò in pensione scriverò un libro sulla vita "pittoresca" dei pittori. Ad esempio lo scultore Mariano Cerne aveva, in viale XX Settembre, uno studio di circa 250 metri quadrati dove si facevano delle grandi feste che in certe occasioni, come ad esempio per capodanno si poteva arrivare ad oltre duecento persone con tanto di orchestra, cena ed elezione di Miss Trieste.
I giovani, dei quali un tempo facevo parte, si trovavano alla Trattoria “ Pic Nic “ di fronte alla Curia Vescovile in via Cavana. Il proprietario, Aldo Massaria, grande appassionato d’arte aveva riservato una sala in fondo al locale agli artisti. I muri erano tutti pieni di immagini dipinte, di disegni, caricature e poesie vergate a mano. Ogni sera si incontravano pittori, poeti, musicisti, attori e molto spesso si facevano dei recital, dei piccoli concerti e tutto ciò richiamava molta gente. Negli anni ’80, con l’avvento della televisione a colori e la possibilità di scegliere fra più canali, la gente inizia a rimanere a casa e pian piano tutto questo mondo del quale vi ho fatto solamente qualche accenno comincia a scomparire.
Per concludere questa mia breve chiaccherata vorrei raccontarvi un aneddoto a proposito dell'educazione alla bellezza di cui parlavo prima.
Premetto che sia io che mia moglie siamo pittori e nostro figlio, all'epoca avrà avuto sei o sette anni, stava guardando dei cartoni animati alla televisione, a  un certo punto la spense “Non guardi più i cartoni? “ – Gli chiesi – “No – rispose – perché hanno una brutta grafica”.  Allora capii che certi “messaggi” gli erano arrivati e non accettava più passivamente tutto quello che gli veniva propinato.
                                                                                                                    Paolo Marani.

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