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Buonasera a tutti. Permettetemi una breve presentazione.Mi chiamo Enzo Tonti, sono professore ordinario di Meccanica Razionale alla Facoltà di Ingegneria dell’Università di Trieste. Il mio sito web è http://www.dic.univ.trieste.it/perspage/tonti/ Sono nato a Milano. Dopo aver vinto la cattedra nel ’75 ed aver fatto un anno all’Università di Milano, ho chiesto al collega Mario Dolcher di poter essere trasferito all’Università di Trieste. E così sono arrivato qui. Quest’anno è il mio ultimo anno di insegnamento: compiendo i 72 anni andrò fuori ruolo e potrò dedicarmi totalmente a finire qualche libro: ne ho pubblicati sette e ne ho in lavorazione altri due. Il libretto del quale voglio riferire in questa conversazione è: Enzo Tonti, Il piacere di insegnare, Aracne editrice (Roma) 2006.

Ebbene: ciascuno di noi ha un hobby, una attività che gli procura piacere: può trattarsi dell’hobby della musica, del giardinaggio, della lettura, della pittura o di altro.

Io ho l’hobby di insegnare.

Fin da quando ero studente il mio sogno era quello di avere a disposizione una lavagna e (eventualmente) anche un uditorio. In una lavagna io vedo quello che un pittore può vedere in una tela vergine, un compositore di musica nel rigo musicale di un album nuovo. La lavagna è quindi per me il mezzo con cui far venire alla luce il mondo che porto dentro.

Mi ha sempre appassionato il fatto di studiare un argomento per poi spiegarlo ad altri. Sì, amo studiare, ma faccio molta fatica a comprendere. Quando però sono risuscito ad apprendere una nozione, mi viene spontaneo pensare come potrei spiegarla ad altri in modo che non facciano tanta fatica quanta ne ho fatta io.

Ebbene, fin dai primi anni della mia carriera avevo preso degli appunti nei quali condensavo i consigli, le regole, gli accorgimenti per farsi comprendere, per avvincere gli studenti suscitando in loro curiosità, stimolando domande che loro non hanno mai il coraggio di fare.

E così, giunto ormai al termine della mia carriera accademica, ho raccolto questi suggerimenti in un libretto, poco più che un opuscolo e ho cercato una casa editrice.

Ho trovato la casa editrice Aracne, una casa giovane e pimpante, con un direttore che si è innamorato del contenuto e ha chiesto all'insigne letterato Tullio De Mauro di fargli una introduzione. Non pago di questo ha chiesto al fisico Carlo Bernardini, direttore della rivista Sapere, di fargli una prefazione.

E’ nato così un libretto con ben due presentazioni che, forse, valgono più del libretto stesso!

 Veniamo all'insegnamento.

 

Semplicità. Lo scrupolo costante di un docente deve essere quello di cercare il modo più efficace per far acquisire un concetto. Il docente deve avere il culto della semplicità: la bravura di un docente si manifesta nell'arte di rendere le cose semplici.

Il compito del docente non è solo quello di trasmettere una conoscenza, ma è quello di farsi capire: più riesce in questa impresa, più ne trae soddisfazione. La soddisfazione di aver reso le cose semplici e di essersi fatto capire è la sorgente del piacere di insegnare.

Ciascuno di noi ha avuto docenti che spiegavano bene e docenti che non si facevano capire: quali ricordiamo con gratitudine? Troppi docenti, soprattutto i più giovani, provano gusto nel complicare le cose per far vedere che sono bravi: errore!

 

Formare una persona. Formare significa plasmare qualcuno, intellettualmente o moralmente; addestrarlo in modo che sia idoneo a certe funzioni e a certe attività.

La consapevolezza di plasmare una persona deve rendere il docente cosciente del ruolo che egli svolge, dell'incidenza che hanno le sue parole, il suo esempio, il suo metodo di analisi e di sintesi, il suo modo di affrontare, di esaminare e di risolvere i problemi.

Un docente non si limita a trasferire conoscenze ad un allievo, ma contribuisce a formare nella mente dell'allievo un edificio con le sue basi, con le sue strutture portanti, con i suoi contenuti. Il privilegio del docente è di costruire una persona.  

L'atteggiamento. Ciascuno di noi ha una legittima stima di se stesso. Abbiamo fatto ricerche, pubblicazioni, frequentato convegni, coltivato relazioni con persone di notevole livello culturale e siamo consapevoli di avere accumulato una competenza a livello nazionale e,  in qualche caso, anche a livello internazionale. Questa consapevolezza ci porta spesso a sopravvalutare le nostre competenze e sembra che ci autorizzi a “guardare” gli allievi dall’alto in basso.

Il grande fisico e fisiologo tedesco Hermann von Helmholtz ha scritto:

“Vorrei dire che l'unificazione delle diverse scienze è necessaria per conservare ilsano equilibrio delle forze spirituali. Ogni singola scienza richiede certe attitudini particolari dello Spirito, e le potenzia attraverso l'assiduo esercizio. Ma ogni educazione unilaterale comporta un rischio. Essa rende inetti alle attività meno spesso esercitate, e limita in tal modo la visione del tutto: ma, quel che è peggio, induce facilmente a sopravvalutare se stessi.

Chi sia consapevole di compiere un certo tipo di lavoro intellettuale molto meglio di altri uomini, dimentica facilmente di non saper fare più di una cosa, che altri invece sanno eseguire molto meglio di lui; e la sopravvalutazione di se stessi — lo ricordino tutti coloro che si dedicano alla scienza — è il peggior nemico di ogni attività scientifica.”

 

Tullio De Mauro, nella sua premessa al libro cita tre esempi tipici dell'atteggiamento di alcuni professori universitari. Cito testualmente:

Un giovane docente proclamava anni fa: “Io curo solo l'alta formazione (cioé i dottorati di ricerca), lascio ad altri il resto.” Caspita, quale Alto Ingegno!

Un altro (in pubblico, in una affollata libreria di Roma): “Io vedo subito, dalla prima lezione, tra i mille e cento, milleduecento che affollano l'aula, quell'uno o due che valgono, che lavoreranno con me e faranno carriera. Degli altri non mi curo.” Ecco un Oroscopico Rabdomante.”

Poi c'é il Fiero Severo, anzi severissimo: “Io da anni boccio tra il 75 e l'80 per cento degli esaminandi!” Nessuno gli ha spiegato che, allora, c'è qualcosa che non funziona nell'assetto del suo insegnamento.

 

Il peggior nemico dell'insegnamento è l'atteggiamento presuntuoso nei riguardi dell'allievo. La presunzione, l'arroganza e la superbia sono i maggiori responsabili della difficoltà di studio incontrata dagli studenti. Lo studente avverte un netto distacco dal docente, ne può riconoscere eventualmente la competenza, ma non ne ammira di certo il comportamento. Questo lo invoglia a non frequentare e determina un senso di freddezza nei riguardi del docente. Nel migliore dei casi lo sopporta perché deve sostenere con lui l’esame. Questo non gli predispone l'animo allo studio, studia di malavoglia perché è costretto, non ama ciò che studia, perché non è stato invogliato, non è stata stuzzicata la sua curiosità.

E’ triste dirlo, ma un docente presuntuoso azzera la stima che lo studente tende ad avere del proprio insegnante e fa rabbia vedere che la presunzione alberga di più fra i giovani insegnanti, che fra quelli più attempati.

 

Catturare l'attenzione. E’ ovvio che l'obiettivo dell'insegnamento del docente è l'apprendimento dell'allievo. Affinché una nozione sia assimilata dall'allievo occorre che essa sia ben accetta. Questo presuppone alcuni accorgimenti.

Per prima cosa occorre catturare l'attenzione dell'allievo preparandolo a ricevere le nozioni che gli vogliamo trasmettere, stimolando il suo interesse.

Si tratta di una esigenza naturale come lo è la stimolazione dell'appetito con i buoni odori... provenienti da una cucina ... o con la vista di una tavola ben apparecchiata; come i preliminari di incontro amoroso.

Se lo studente è stato preparato a ricevere delle nozioni, queste, una volta trasmesse, lasciano una traccia più marcata e producono un appagamento sia dell'allievo che del docente.

 

Sollevare domande. Ma che fare per catturare l'attenzione dello studente e stimolarne l'interesse? Un metodo è quello di sollevare delle domande.

 Io sono solito porre delle domande prima di esporre un argomento e attendo che mi diano una risposta. Senonché, mentre nelle scuole elementari i bambini gareggiano fra loro alzando la mano per dare la loro risposta, all'Università gli allievi non rispondono in pubblico, sono condizionati dalle scuole secondarie ove una risposta sbagliata incide sul giudizio del professore e di questo se ne accorgono alla fine del trimestre...

Se loro non rispondono io uso suggerire risposte generiche, lacunose per poi farne un esame critico. Meglio è se c'è uno studente che dà una risposta. Siccome la risposta è spesso lacunosa, o addirittura errata, occorre che il docente la faccia propria, la giustifichi nei limiti del possibile per poi passare ad una graduale critica, facendo in modo che l'allievo non si senta offeso in pubblico. Solo in questo modo avrà il coraggio di rispondere alle domande successive.

 Occorre sempre tener presente che lo studente viene a scuola per imparare e quindi non dobbiamo tener conto delle sue risposte errate durante il corso, ma di quelle che darà alla fine del corso, in sede di esame.

 

Filtri. Poiché, oltre ad insegnare il docente fa anche gli esami, esso svolge un fondamentale ruolo di filtro nei riguardi della società assicurando che l'esaminato possegga i requisiti minimi per svolgere la professione che è attestata con la laurea.

 Senonché l'attuale situazione universitaria ha peggiorato enormemente questo essenziale aspetto. L'ex ministro della Pubblica Istruzione, Letizia Moratti, persona peraltro efficiente (aveva rimesso a posto il bilancio della Rai), era inadatta ad occuparsi della scuola e, meno che mai, dell'Università. Costei ha deciso che i finanziamenti all'Università tengano conto anche del numero di laureati che essa produce, come se si trattasse del lavoro a cottimo in una fabbrica!

Accade di conseguenza che molti colleghi dopo una o due volte che un allievo si presenta non preparato all'esame, invece di bloccarlo gli diano un 18 ... per non sentirsi responsabili della riduzione dei fondi della propria Università.

Si può concepire qualcosa di più sconsiderato?

 

La pappa pronta. Purtroppo alcuni docenti ritengono che è bene non dare la pappa pronta e quindi non rendere le cose semplici perché gli allievi se la devono sbrigare da soli: devono far fatica!

Qui c'è un equivoco. E’ vero che devono sbrigarsela da soli, ma solo dopo che sia stato loro indicato chiaramente il metodo, dopo che abbiano visto attraverso esempi semplici e via via più complessi come si debba operare, in altre parole dopo che il docente si sia reso conto che il metodo è stato assimilato.

Nessun istruttore di roccia lascia andare da solo il suo allievo nelle prime arrampicate, ma lo lega a sé, lo accompagna, lo precede, gli mostra come deve arrampicarsi, ne corregge gli errori. Quando vede che le regole sono state ben recepite allora lascia che l'allievo se la sbrighi da solo.

In altre parole, non si deve evitare la chiarezza affinché l'allievo faccia fatica: al contrario si deve avere il culto della chiarezza affinché la nozione che si vuole trasmettere si inserisca in modo armonioso nella mente dell'allievo. Solo dopo questi sarà tenuto a sbrigarsela da solo e a fare fatica.

 Talvolta mi è capitato di sentire questa frase: se me l'avessero spiegata così fin dall'inizio avrei capito! Quanta amarezza ho provato per il tempo che ha perso quell'allievo per capire qualcosa che un docente non ha avuto la preoccupazione di rendere semplice.

 

Conclusione. Per terminare vorrei che fosse chiara una cosa: il fatto di insegnare con passione non comporta affatto che io sia stato un bravo insegnante. Così come il fatto che una persona abbia passione per il violino o il pianoforte non comporta affatto che questa sia un bravo suonatore. Einstein era un appassionato suonatore di violino ma dicono che a sentirlo era uno strazio...

Con il passare degli anni sono diventato un improvvisatore: a volte, è triste ammetterlo, entro in aula senza aver deciso cosa spiegare. Per incoscienza e per pigrizia mi fido troppo dell'esperienza accumulata in quarant'anni e passa di insegnamento e capita che al termine della lezione venga fuori amareggiato per la deludente prestazione fornita, amareggiato per i pasticci combinati durante la spiegazione, per i passaggi dimenticati: sarebbe bastato un breve ripasso...

Oltre al piacere di insegnare si prova, talvolta, anche il dispiacere di non aver insegnato bene! Vi ringrazio per l'attenzione che mi avete prestato ascoltandomi. Buona sera a tutti voi.

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