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La conviviale del 4 giugno 2008 ha avuto come illustri relatori la Dr.a Maura Sacher ed il dr. Bernardino de Hassek, i quali hanno intrattenuto i Soci e gli ospiti del Club sul tema: il vino: cultura e tradizione, un ideale itinerario che, attraverso le rappresentazioni mitologiche, artistiche, letterarie dell'uva e del vino, ha illustrato la storia del vino.
Il tema è stato introdotto da Bernardino de Hassek, che ha spiegato come questa bevanda abbia da sempre accompagnato la storia dell’uomo, essendo una bevanda socializzante, che ha notevoli effetti sulla salute, sia in senso positivo che negativo, a seconda delle dosi di consumo e che ha assunto anche una valenza sacrale sia nell’antichità che nel cristianesimo. Il dr. de Hassek ha poi passato la parola alla dr.a Sacher ed i due relatori, alternandosi nella illustrazione delle diapositive, hanno percorso, a grandi tappe, la storia parallela dell’uomo e del vino, a cominciare dal richiamo ai testi più antichi. 

La Bibbia attribuisce la scoperta del processo di lavorazione del vino a Noè, discendente di Adamo ed Eva da solo 10 generazioni. Vi si legge anche che gli antichi ebrei vendemmiavano due volte all’anno, nella prima ricavavano il vino dai grappoli, nella seconda dai raspi. Diversi ritrovamenti archeologici dimostrano che la vitis vinifera cresceva spontanea già 300.000 anni fa.
Le più antiche tracce di coltivazione della vite sono state rinvenute sulle rive del Mar Caspio e nella Turchia orientale. Agli Egiziani va il merito dello sviluppo della coltivazione e del commercio. I Latini conobbero l’arte della vigna qualche centinaio d’anni dopo i Greci. Grazie alle condizioni ottimali del clima, il bacino mediterraneo fu area privilegiata per lo sviluppo della coltura della vite. La penisola divenne la maggiore produttrice ed esportatrice. I Greci non assumevano vino durante il pasto ma alla fine, durante il symposion che significa “bere assieme” momento di vita sociale spettacolo e divertimento, occasione di dibattito culturale. Al termine della cena, rimosse le tavole, i commensali si coronavano di fiori, rametti di mirto e di edera (il mirto era simbolo di Afrodite e l’edera di Dioniso), entravano in scena i musicanti e le danzatrici, e quindi veniva nominato un simposiarca – un “presidente” del banchetto – che aveva il compito di assicurarne il buon svolgimento, fare da moderatore ai discorsi e alle esibizioni dei partecipanti e di stabilire in anticipo il numero delle coppe da bere.
Le satire di Orazio sono una preziosa fonte per conoscere come i Romani consumassero il vino. Diversamente dai Greci, i Romani pasteggiavano con il vino. Ogni portata aveva il suo tipo di vino. Lo usavano per cucinare. Ci inzuppavano anche il pane per merenda mattutina. Per prendere il calice, le mani dovevano essere rigorosamente pulite. Le bevande stavano sulla “mensa vinaria” ed era compito dei servi riempire i bicchieri. I Romani conoscevano bene le proprietà e le tecniche di conservazione e di invecchiamento del vino. Alle anfore applicavano un’etichetta (chiamata “pittacium”) con l’indicazione del tipo di vino, della zona di provenienza e dell’anno di produzione; la data era indicata con il nome del console in carica in quell’anno. A seconda della qualità, il vino veniva trattato in diversi modi e veniva destinato a diversi usi, anche medicinali.
Polibio narra nelle sue "Historiae" come Annibale, nelle pause belliche, sostenesse l'esercito con i vecchi vini di cui c'era grandissima copia in quella provincia e come i cavalli, colpiti da un'improvvisa epidemia, fossero curati con pozioni di vino caldo.
Nell’antichissimo oriente, la vite era identificata con l’albero della vita; la dea madre era la Dea Vite. Dioniso nella mitologia greca e Bacco in quella romana erano le divinità collegate al vino.
A Roma le Feste Vinalie cadevano il 23 aprile e il 19 agosto: le prime celebravano l’immissione a consumo del vino dell’annata precedente, mentre le seconde l’inizio della vendemmia. La sacralità del vino è ripresa anche nel cristianesimo, a cominciare dalla trasformazione dell’acqua in vino nel banchetto delle nozze di Caana, fino ad assumere valore spirituale e trascendentale, quale “sangue” di Cristo morto in croce e diventare mezzo di ‘comunione’ con Dio. Gli Islamici e i Buddisti, invece, proibiscono il consumo di vino.
Fortemente caricato di simboli, legati ai suoi effetti inebrianti, il vino non ha mai cessato di essere fonte di ispirazione, per scrittori ed artisti anche in epoche più vicine a noi. “Il trionfo di Bacco e Arianna”, canto carnascialesco di Lorenzo de’ Medici (“Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia…) (fine 1400),  ne è un esempio, come lo sono la “Favola di Orfeo” di Angelo Poliziano (1489) – che poi ha ispirato il melodramma “Orfeo” del musicista Monteverdi (1607), il “Bacco in Toscana”, ditirambo di Francesco Redi (fine 1685) che potrebbe essere considerato un primo trattato di enologia: Bacco e Arianna in festosa compagnia degli amici del poeta passano in rassegna una vasta serie di vini toscani per giungere a proclamare vincitore della gara il vino di Montepulciano.
A conclusione della presentazione, dopo che Bernardino de Hassek ha passato in rapida rassegna le caratteristiche di alcuni dei vini più famosi, fin dall’antichità,  per sottolineare il parallelismo fra la storia dell’uomo e quella del vino, Maura Sacher, citando Charles Baudelaire (1821-1867), ha affermato: “Il vino assomiglia all'uomo: non si sa mai fino a che punto lo si può apprezzare o disprezzare, amare o odiare; né quanti atti sublimi o crimini mostruosi è capace di commettere. Non siamo, allora, più crudeli con lui che con noi stessi e trattiamolo come un nostro simile”.

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