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Il Prof. Sabino Scardi, Docente presso la Scuola di Specializzazione in Cardiologia dell'Università di Tireste e Direttore (fino a qualche mese fa) del Centro Cardiovascolare, da lui fondato e sviluppato con grande successo, è stato il relatore della serata del 24 settembre. Egli  ha iniziato la sua relazione illustrando, con una serie di belle immagini, i rapidi ed enormi progressi compiuti, negli ultimi 50 anni, dalla cardiologia e ricordando come egli abbia avuto la fortuna di vivere la nascita e lo sviluppo di questa disciplina, che a Trieste ha avuto illustri cultori, che hanno permesso la creazione di un Polo Cardiologico, presso l’Ospedale di Cattinara, che, attualmente, costituisce un punto di riferimento per la cardiologia italiana e per i pazienti di tutta Italia.

A partire dall’elettrocardiografo, le tecniche di diagnosi cardiologica si sono progressivamente e rapidamente arricchite di nuovi strumenti, come gli ultrasuoni, la TAC, la scintigrafia e la risonanza magnetica, che,oggi, permettono di ricavare immagini del cuore e dei vasi, del tutto paragonabili a quelle anatomiche, che, un tempo, erano possibili solo post-mortem.     

Ma, se da un lato la cardiologia può vantare questi successi e contare su queste risorse, dall’altro non mancano i problemi da risolvere. Fra questi, un motivo di preoccupazione e di impegno per gli operatori del settore è la scarsa adesione alla terapia farmacologica prescritta, da parte dei pazienti cardiopatici. Oggi, per coloro che hanno avuto un evento cardiovascolare, sono disponibili numerosi farmaci in grado di fornire protezione al cuore e, soprattutto, di ridurre i fattori di rischio per recidive di eventi. Tra questi farmaci, sono ben noti a tutti quelli antiipertensivi, quelli che riducono il colesterolo, quelli che controllano la glicemia, quelli che rendono il sangue meno coagulabile. Ecco allora, facilmente spiegato, il motivo per cui chi ha avuto un infarto esce dall’ospedale con una lunga lista di farmaci che, se da una parte forniscono protezione all’apparato cardiocircolatorio, dall’altra obbligano il paziente all’assunzione di più compresse, più volte al giorno. Questa necessità, oltre a creare in molti pazienti difficoltà nella digestione, trova limiti nel fronteggiarla correttamente, nei difetti di memoria di molti pazienti, nonché nel loro grado di autosufficienza. Infatti, il prolungamento dell’età media fa sì che molti cardiopatici siano persone molto anziane. Molti studi, effettuati da ricercatori di diversi Paesi occidentali, hanno portato alla conclusione che sono molti (fino al 50% e più) i pazienti che tralasciano le cure dopo la dimissione dall’ospedale. Ciò causa nuovi rientri in ospedale e molte volte, la recidiva di eventi che peggiorano il grado di autonomia delle persone oltre che a causarne la morte. I motivi di questa situazione, oltre a quelli appena esposti, sono anche riconducibili ai costi che in molti Paesi i pazienti devono sostenere per l’acquisto dei farmaci. In Italia, per ora, questo problema non esiste, ma esistono gli altri. In Europa, alcuni studiosi hanno proposto di preparare il “Polipillolo”, vale a dire una compressa che contiene i principi attivi di ciascuno dei farmaci delle classi prima citate. Questa idea, che potrebbe risolvere alcuni dei problemi che rendono scarsa l’adesione alla terapia,  da parte di numerosi pazienti cardiopatici, trova un ostacolo insormontabile sulla necessità, per molti malati, di una personalizzazione spinta della terapia, in quanto la polipatologia che li affligge, ha gradi difformi di severità e l’intolleranza ad uno dei principi somministrati renderebbe non somministrabili anche gli altri. Pertanto, il problema rimane tutt’ora aperto. Il Prof. Scardi ha concluso il suo intervento annunciando l’avvio a Trieste di una ricerca che egli stesso ha promosso e che i Medici specializzandi della Scuola di Cardiologia porteranno avanti, sotto la sua guida. Questa indagine è finalizzata a conoscere la percentuale di pazienti che, a Trieste, abbandonano le cure, dopo la dimissione dall’ospedale e ad incoraggiare i pazienti a proseguirle sia tramite l’individuazione e la soluzione dei problemi, che hanno portato all’abbandono della terapia, sia attraverso una capillare ed estesa opera di informazione e di educazione. Saranno proprio i colloqui e le visite che i Medici effettueranno ogni 6 mesi, per un anno, al domicilio dei pazienti lo strumento, sempre meno utilizzato dai Medici per mancanza di tempo, per raggiungere un prezioso ed ambizioso traguardo: la consapevole adesione alla terapia salvavita, da parte del paziente cardiopatico.               

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