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L’argomento della conviviale del 1 ottobre 2008 è stato il Prosecco. In particolare, il Prof. Fulvio Colombo, si è occupato dello studio della origine della denominazione di questo vino, prodotto, da molti secoli, in tre aree geografiche: la più nota delle quali è il comprensorio del Prosecco di Conegliano-Vadobbiadene, poi la provincia di Trieste ed, infine, la Dalmazia.
Lo stimolo ad un approfondimento del tema, oltre che da interessi culturali, deriva dalla necessità di trovare un modo per proteggere il marchio prosecco dalla concorrenza (recentemente al vinItaly è stato premiato un prosecco brasiliano). Per questo fine, si è proposto di estendere la zona di produzione dal trevigiano (dove si coltiva un vitigno di nome Prosecco, che dà il nome al vino) fino all’area triestina, dove esiste una località: Prosecco, dove si produceva un vino di nome Prosecco, che potrebbe conferire il marchio di origine, con una caratterizzazione geografica.  Infatti, il problema si pone perché il Prosecco è un vitigno e, quindi, come tale può essere coltivato dappertutto – anche in altri continenti – e al vino che si ricava da questo vitigno può esser dato il nome di prosecco, senza incorrere in sanzioni.

La prima domanda che sorge spontanea su questo tema è: che relazione c’è tra il prosecco di Conegliano-Valdobiaddene e l’abitato di Prosecco?
Va notato che, al di fuori della provincia di Trieste, non ci sono altre località denominate Prosecco, perché Prosecco è un toponimo sloveno e, quindi, è – per il Veneto - un termine di importazione. Infatti, è la forma slovena dell’antico toponimo slavo “proseku” che, secondo gli esperti di toponomastica, ha il significato di “zona disboscata”. Questo toponimo è stato attestato fin dal 1289 e, poi, di frequente, nel Trecento triestino, nella forma Prosech o Prosechum, ma anche in quella moderna Prosecco, riferito ad un villaggio, ad un piccolo centro abitato, sviluppatosi a lato della strada “carraia”- romana – che faceva da limite al territorio triestino, strada ancora in uso nel medioevo.
In realtà, la coltivazione della vite non avveniva nelle immediate vicinanze del villaggio, ma lungo i pendii soleggiati – al riparo della bora – i declivi digradanti verso il mare, oltre il ciglione carsico. Nell’area dell’attuale Contovello, la felice posizione geografica, la natura dei terreni marnoso-arenacei e il clima temperato, consentivano la produzione di un vino, di cui la città andava orgogliosa e che costituiva, con il suo commercio, il vero motore dell’economia triestina. Economia, all’epoca, prettamente agricola, a dispetto della posizione della città, affacciata al mare, ma che con il mare pare non avesse tanta confidenza – a giudicare almeno dai documenti.
Il vino, nel Trecento, ma anche prima, aveva, a Trieste, quasi un solo nome: ribolla, termine presente in modo continuo in una marea di documenti. Ci si chiede, ora, come il vino ribolla sia stato chiamato prosecco, dato che era prodotto dappertutto nell’area triestina eccetto che a Prosecco. L’ipotesi è che la denominazione sia derivata dalla costruzione di un castello, nei pressi dell’abitato dell’attuale Contovello, a cui venne dato il nome di Moncholano, probabilmente da un toponimo già esistente: il castrum montis Collani. Questa struttura, che aveva una torre chiamata prosecco, dalla fine del ‘300, quando Trieste, con la cosiddetta dedizione, entra a far parte dei domini del sovrano austriaco, comincia ad essere chiamata, nei documenti in tedesco, castello o torre di Prosecco.
I successivi passaggi che permettono di risalire alla denominazione del vino carsico, possono essere individuati alla fine del 400, quando Pietro Bonomo, Segretario e consigliere di tre sovrani austriaci: Federico III, Massimiliano I e Ferdinando I, diplomatico, poeta latino e uomo di chiesa, vescovo di Trieste (cui fu eletto nel 1502), nelle opere che componeva, richiamandosi agli autori latini (Plinio) che parlavano del vino Pucino, prodotto in quell’area che si identifica con Contovello, cominciò ad associare il vino prodotto dagli abitanti di Prosecco con il vino Pucino decantato da Plinio, per la fragranza e le proprietà medicamentose. Il Bonomo, la cui famiglia possedeva vigne nell’area di Contovello non ha dubbi sulla collocazione geografica dell’antico castello e sul fatto che le vigne di famiglia producessero un vino che era diretto erede dell’antico. Egli fece conoscere il vino a corte (a Vienna) e ne parlò agli amici, che ne fecero menzione nelle loro opere letterarie. Cercò anche di farsi concedere dal sovrano la custodia della torre, ma la cosa, promessa, rimase, però, solo tale.
Nel 1525, a Trieste, il binomio Pucino-Prosecco diventa ufficiale ed entra nella documentazione pubblica. Il vino triestino, già conosciuto ed apprezzato nei secoli precedenti, comincia ad entrare in letteratura.
Pier Andrea Mattioli, medico senese del 1544, nei commenti all’edizione del “De medica materia” del Dioscoride, al passo in cui si parla del vino “Pictano”, lo identifica con il pucino di Plinio e con il vino che si produceva non lontano dal Timavo e attribuisce al Pucino proprietà terapeutiche, sperimentate anche sulla sua persona, descrivendone minuziosamente le caratteristiche. Il successo dell’opera fu enorme al punto che, in pochi anni, si pubblicarono molte ri-edizioni. Ciò costituì un bel biglietto da visita, una bella pubblicità per il vino, tenendo conto che l’opera fu ristampata all’infinito e diffusa dappertutto. Tra le tante segnalazioni del Seicento, Colombo ha citato solo quella contenuta nell’opera del padovano Giacomo Filippo Tommasini, dove non c’è più distinzione tra Pucino e Prosecco e quest’ultimo è divenuto la denominazione ufficiale del vino triestino. Il grado di eccellenza, raggiunto dal prodotto, è documentato dai ripetuti tentativi di porre sul mercato vini che, anche se ottenuti con uve prodotte sulla costiera triestina, nei dintorni di Prosecco, non avevano le caratteristiche, che i regolamenti comunali imponevano a salvaguardia della qualità.
Per quanto riguarda, invece, il prosecco trevigiano, dopo la prima timida citazione del 1772, in cui appare confuso tra le altre varietà presenti nell’area, ed una segnalazione sui dati della modesta produzione del 1861 (non superiore all’8% di quella totale del comprensorio), solo negli ultimi decenni il vino trova, finalmente, la sua degna collocazione sul mercato, diventando il prodotto di eccellenza che conosciamo.
A questo punto, se ci domandiamo se esiste una relazione genetica tra le varietà di Prosecco coltivate a Conegliano-Valdobiadene e i vitigni presenti in territorio triestino (glera) e se esistono relazioni di parentela tra gli antichi vitigni, a bacca bianca, coltivati in provincia di Trieste (ribolla, prosecco) e quelli attuali (glera) cominciamo ad entrare in problematiche sempre più complesse.
Questo secondo argomento molto impegnativo, per essere affrontato, ha bisogno di un’indagine che non si basi su considerazioni legate alle caratteristiche esteriori della pianta o a quelle del prodotto finale della vinificazione, ma sull’esame del materiale organico antico rapportato all’attuale. Materiale organico, che riferito alla vite, può essere costituito per esempio dai vinaccioli, dai semi dell’acino, che, in ambiente umido, si conservano a lungo. Interpellati, su questo punto, dal Prof. Colombo, gli archeologhi hanno detto che materiali di questo tipo (ed in generale reperti organici antichi), dalle nostre parti, non ne sono mai stati trovati. Tuttavia, il relatore ha tenuto a sottolineare che ciò potrebbe anche dipendere dal fatto che reperti di questo tipo potrebbero non essere mai stati trovati, perché, finora, non sono mai state effettuate ricerche finalizzate a questo obbiettivo.

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