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Galileo tra Scienza e Fede: Processo per Eresia, è il tema trattato nella conviviale del 5 novembre 2008 dal Prof. Gaetano Thiene, Professore Ordinario di Patologia Cardiovascolare presso l’Università di Padova, conosciuto in tutto il mondo per i suoi studi sulle malattie congenite cardiache, responsabili di morti improvvise in giovani adulti. La sua vasta cultura, non solo in campo medico, e la sua appartenenza alla storica Università di Padova lo hanno spinto ad approfondire gli studi sulla esperienza umana e professionale di un altro grande Docente della Università Patavina: Galileo Galilei, lo scienziato che, per la sua vicenda personale, risulta incarnare l’apparente insanabile conflitto fra scienza e fede. Il Prof. Thiene ha esordito richiamando il pensiero del Papa Giovanni Paolo II, manifestato, sull’argomento, in una lettera scritta nel 1992 al Rettore dell’Università di Padova, in cui faceva esplicito riferimento al fatto che “Galileo era diventato quasi un simbolo della pretesa opposizione tra la scienza e la fede, l’una con la sua esigenza di libertà nella ricerca, l’altra col suo dovere di obbedienza all’autorità dottrinale della Chiesa, mentre contribuire alla miglior conoscenza della verità è lo scopo a cui tende la comune vocazione sia degli uomini di scienza che dei teologi”.

Dopo aver riportato alcune note, in riferimento ai tratti somatici di Galileo: “d’aspetto grave, di statura piuttosto alta, membruto e ben quadrato di corpo, d’occhi vivaci, di carnagione bianca e di pelo che pendea nel rossiccio”, così come riportato dai contemporanei, e alcune brevi cenni biografici, il relatore ha voluto citare i risultati più brillanti conseguiti nelle sue ricerche nel periodo padovano, iniziato nel 1592, dopo gli studi compiuti a Pisa sua città natale e le prime pubblicazioni sui famosi esperimenti, compiuti sulla caduta dei gravi dalla torre inclinata. A Padova, dove ha ottenuto la cattedra di matematica, scrive di meccanica e cosmografia, costruisce e vende strumenti (compasso), presenta al Doge: Leonardo Donato il cannocchiale, con il quale osserva 4 stelle ruotare attorno a Giove (Medicea Sidera) e pubblica la scoperta nel Sidereus Nuncius (56 pagine), dedicato a Cosimo II de Medici. Nel 1610, si dimette dalla Cattedra di Padova e torna a Firenze, dove viene nominato “Matematico Primario” nello Studio di Pisa e Filosofo del Ser.mo Granduca di Toscana, con un notevole incremento di stipendio. Ma, a Firenze, cominciano i suoi problemi con le Autorità Ecclesiastiche, innanzitutto, perché Firenze risentiva molto più di Padova della influenza della Chiesa. Infatti, la Repubblica Veneta garantiva, a Padova, una libertà intellettuale e di ricerca superiore a quella permessa dall’Università di Firenze. Inoltre, Galileo cominciò negli anni fiorentini a divulgare le sue scoperte: (quattro satelliti di Giove, via Lattea come moltitudine di stelle, irregolarità della superficie lunare, “Anelli” di Saturno, macchie solari, fasi di Venere) attraverso scritti in lingua volgare.  Le scoperte di Galileo erano presentate a sostegno della teoria Copernicana, in contrasto con quella Tolemaica ed in aperta contrapposizione alla dottrina della Chiesa, che, in accordo con il libro di Giosuè, laddove al versetto X, 12-13 recita: “Fermati, o Sole! … e il Sole si immobilizzò nel mezzo dei Cieli e ritardò di quasi un intero giorno il suo tramonto”, sosteneva come verità di fede che fosse la terra, immobile, al centro dell’universo, con il sole e gli altri pianeti che le girano attorno. Nel 1614, il domenicano Caccini attacca violentemente i Galileiani, in S. Maria Novella, difendendo l’interpretazione ad litteram della Sacra Scrittura e, per quanto ci siano all’interno della Chiesa figure quali il cardinale Bellarmino, che manifestino una qualche prudente apertura alle nuove teorie, derivanti dalle scoperte di Galileo, nel 1616 il S. Uffizio condanna la teoria Copernicana, ed il Cardinale Bellarmino stesso incontra Galileo per ammonirlo a non sostenerla, insegnarla, difenderla, pena l’Inquisizione. Nel 1618, il Cardinale Maffeo Barberini, ammiratore e sostenitore di Galileo, viene eletto Papa, con il nome di Urbano VIII. Colloqui avvenuti fra i due, fanno ritenere a Galilei che la Chiesa possa superare il pregiudizio, dimostrato nei confronti delle sue scoperte e teorie. Così, nel 1628, comincia la stesura del “Dialogo sui Massimi Sistemi”, che, nel 1632, ottiene l’imprimatur dall’Inquisitore di Firenze e viene pubblicato.  Tuttavia, il testo riporta, in un dialogo messo in bocca ad un personaggio: Simplicio, il pensiero che il Papa, in via riservata, aveva manifestato a Galilei, in contrasto con  il Santo Uffizio e questo suscita le ire del Papa. Nel 1633, lo scienziato viene convocato dal S. Uffizio a Roma, sottoposto a processo e condannato per eresia all’abiura e agli arresti domiciliari ad Arcetri. Galileo sfuggì alla tortura ed al patibolo, solo perché non fu accusato e condannato per eresia, ma solo perché accusato di sospetta eresia, in quanto l’opinione espressa dagli scritti dello scienziato era proposta come altamente probabile, anche se ritenuta contraria alla sacra scrittura. Oltre alla condanna al carcere, trasformata in arresti domiciliari, alla messa all’indice del testo “I dialoghi”, Galilei fu condannato all’abiura, che egli pronunciò nel 1633. Gli ultimi anni della vita di Galilei furono trascorsi ad Arcetri; colpito dalla cecità all’occhio destro nel 1637, muore nel 1642 a 78 anni. Nel 1737, la salma viene tumulata in un Mausoleo di Santa Croce a Firenze. 

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