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Abitualmente nelle conviviali i temi trattati dai diversi illustri relatori prendono in riferimento argomenti considerati di spessore. Parlare di caffè, di primo acchito, potrebbe sembrare materia secondaria e, direi, frivola. Certamente potremmo considerarla tale, si sappia però che il prodotto mercantile, movimenta una tal somma di denaro che spesso si pone al terzo se non al secondo posto in fatto di movimentazione di valuta. In questo modo, il Dr. Gianni Pistrini, esperto assaggiatore di caffè, ha esordito presentando la sua relazione, ai Soci del Rotary Club Muggia, durante la conviviale del 3 dicembre 2008.  Il caffè coinvolge quattro dei cinque continenti, in fatto di coltivazione dell’aromatico seme. Unica eccezione l’Europa, comunque coinvolta, in quanto territorio ad alto consumo.
Portare una tazzina di caffè fumante alle labbra sembra un gesto usuale e, direi, banale, ma probabilmente pochi si saranno chiesti dove esso abbia origine e il percorso dai paesi coltivatori fino a noi, la sua storia, il suo significato sociale.
La scoperta del caffè si perde nella notte dei tempi. Altrettanto le scoperte sulle sue originarie proprietà. Parecchie, invece, sono le leggende, più o meno veritiere, che favoleggiano sulla scoperta: dal pastorello Kaldi ai religiosi del monastero Chehodet in Yemen, dal profeta Maometto alla regina di Saba.

Di fatto, i paesi di produzione sono grossomodo un’ottantina, con il Brasile quale terra principe con un terzo dell’intera produzione mondiale del coloniale.
In Occidente, il caffè arriva tramite gli scienziati-navigatori che si recavano nelle nuove terre in cerca di avventure e di scoperte. Uno di questi ritrovamenti è proprio il nero decotto.
L’arrivo nel Vecchio Continente la dobbiamo alla Serenissima Repubblica di Venezia. In terra veneta, l’aromatico chicco è opera dello studioso Prospero Alpino, botanico di rilevante fama. Egli scrisse un importantissimo tomo nel 1592 nel quale cita, fra le molteplici varietà, una pianta di nome qahwah.
Nel corso della chiacchierata conviviale, si potranno osservare da vicino i chicchi di caffè “verde”, prima della torrefazione, afferenti alle due specie: Arabica e Robusta, i sistemi di raccolta e di lavorazione, la loro classificazione e il trasporto. Un accenno verrà fatto riguardo la commercializzazione e le quotazioni alle due principali Borse del caffè New York e Londra.
La fase successiva, che impegna i tecnici assaggiatori di caffè, è quella di verificarne le caratteristiche ufficiali che debbono corrispondere a determinati disciplinari. La verifica viene eseguita anche attraverso analisi di tipo sensoriale dopo opportuna cottura. Quindi la miscelazione, il confezionamento e il susseguente ultimo passaggio della preparazione in bevanda in moka, espresso o filtro.
Non potrà mancare citazione alla città cafetalera per eccellenza: Trieste. Qui vi operano fra addetti e indotto, un rilevante numero di personale impiegato, si consuma un quantitativo doppio rispetto la media del resto d’Italia ed è operante l’intera filiera commerciale: spedizionieri e periti esperti, crudisti di import-export e grossisti, agenti di commercio specializzati nel prodotto e torrefattori, assicuratori e società di navigazione, aziende per la pulitura e selezionatura del verde seme e uno stabilimento di decaffeinizzaizone.
Nel capoluogo giuliano sono ubicate poi importanti istituzioni scientifiche site in Area di ricerca, oltre ad una fornitissima Serra sub-tropicale dell’Università degli Studi di Trieste. Altra istituzione è il Laboratorio chimico merceologico della locale Camera di Commercio e il Consorzio Qualicaf, associato all’Associazione degli Industriali della provincia triestina. E’ tale l’azione stimolante che sono attive ben quattro testate giornalistiche, diffuse in tutto il mondo e le segreterie di due associazioni di categoria: una fondata nel 1891 (Associazione Caffè Trieste), l’altra connessa alla trasformazione (Gruppo Triveneto Torrefattori Caffè). E ancora, qui è stato realizzato un primo nucleo del Museo del Caffè di Trieste, dall’anno 2001 allestito in area portuale.
Non ultimi, una serie di Caffè storici che hanno conservato, pressochè inalterata la loro atmosfera di un tempo. Il più vecchio data al 1824 (Caffè Tommaseo), mentre quello meglio conservato nella sua atmosfera fin de sìecle (Caffè San Marco) ha le pareti che trasudano di ricordi vivi. Anche altri locali hanno fatto la storia della città: dagli Specchi al Torinese, dall’Urbanis allo Stella Polare e via elencando.
Ci sono poi le degustazioni: un modo tradizionale di assaporare il nero infuso. In tutti questi pubblici esercizi si ordinano un rilevante numero di tazzine di espresso e cappuccino. Una curiosità tutta locale: sono parecchie le tipologie di assunzione; se ne sono annoverano fino ad una cinquantina. In particolare, nota di curiosità, il “capo”. Questo è servito in tazzina piccola, non come si è soliti, nel resto d’Italia, in tazza di grande formato, con tanto latte montato. Sembrerebbe che il motivo dipenda da una particolare consuetudine, nell’immediato dopoguerra (secondo conflitto), di ordinare il caffè al bar e farselo portare ai piani negli uffici. L’addetto provvedeva a preparare l’estratto contente poco latte schiumato, versato in un bicchierino di vetro e non nella tazza per evitare un rovesciamento del liquido contenuto. Già prima però, uomini e donne lavoratrici, come le “sessolotte” o gli operai, ne fruivano attraverso il suo asporto. Da qui la consuetudine del volume ridotto. Tutto ciò è divenuto poi nel tempo una tradizione di uso comune: cioè chiedere e consumare il cappuccino in tazzina piccola. Trieste, è sempre stata una città particolare, un po’ diversa dalle altre. Anche in questo aspetto conferma la sua unicità così da essere riconosciuta con l’appellativo di “Trieste capitale del caffè espresso”.

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