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Anche se non sarà una grande depressione come nel 1929, l’attuale fase di recessione economica sarà, probabilmente, la più dura del dopoguerra. E' questa l'affermazione con la quale il Dr. Davide Passero, amministratore delegato e Direttore Generale di Genertel, www.genertel.it ha esordito durante la sua relazione, tenuta il 28 gennaio 2009, ai Soci del Rotary Club di Muggia. Per contenere gli effetti del ciclo negativo, l’intervento attivo dei governi si è tradotto in interventi rapidi nei tempi e significativi nelle dimensioni. Tali interventi hanno riportato la politica economica in primo piano, dopo un decennio di prevalenza della finanza: i governi diventano i grandi protagonisti, l’industria e la fabbrica tornano al centro dell’attenzione, dopo gli eccessi della finanza creativa. Questo scenario è accompagnato da un variegato dibattito sulla qualità ed utilità degli interventi messi in campo, su cui si confrontano economisti di diverse estrazioni e che segnala la complessità del momento e la difficoltà di formulare terapie d’urto efficaci. Nel contempo, la figura stessa degli economisti e la loro capacità di interpretazione della realtà sono messe in discussione: a ciò, certamente, non giova il fatto che le modalità di intervento si rifacciano, comunque, alle tesi di Keynes, formulate nel lontano 1936.

Ecco, allora, che vale riflettere se in questa fase gli economisti non perdano l’occasione di saper offrire una chiave di lettura diversa, meno conforme e più “visionaria”. La scienza economica, da sempre, individua la ciclicità quale componente ricorrente nell’andamento del sistema; allora perché, dopo un ciclo positivo, l’inversione fa così tanta paura da evocare i peggiori spettri del passato? Pur riconoscendo la gravità oggettiva del momento attuale, non riflettono queste reazioni anche la difficoltà delle società occidentali nell’accettare, nel sopportare la nozione stessa di malattia, di economic disease? E questo non provoca, di per sé, fenomeni a catena di iperreazione, sovreccitazione e panico? Andrebbe indagata l’analogia, tutta sociologica, tra i modelli di diffusione pandemica di recenti allarmi sanitari (dalla mucca pazza all’aviaria) e quello di allarme economico, quantomeno per comprendere perché abbiamo così tanta paura della paura e perché l’andamento del PIL pare diventato il parametro unico ed ultimo dello stato di salute della nostra società.       

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