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La conviviale dell’11 febbraio 2009 ha avuto come ospite e relatore Marino Vocci, operatore culturale, giornalista, gastronauta, molto noto in regione per la sua attività sia politica (è stato Sindaco di Aurisina) sia divulgativa (cura una rubrica gastronomica per la Televisione – sia per la Rai che per la TV di Capodistria). Egli ha esordito con alcuni brevi tratti, che sono serviti a disegnare il panorama della sua Istria dove è nato, ha iniziato a camminare e a parlare, a sentire in primavera profumi del mandorlo, del pane appena sfornato e quello di stalla della mucca di nome Bruna. E’ lì che ha imparato ad ammirare la terra rossa, lavorata con pazienza e amore, solcata dalle viti di malvasia, refosco e uva negra tenera, ad ascoltare il canto del merlo e dell’usignolo a riconoscere i volti e le parole delle persone amiche e a distinguerle da quelle ostili, a partecipare alla vita del mondo contadino e al ritmo delle stagioni.

I primi giorni dell’anno, con l’occhio attento al calendario, per rispettare la giusta fase lunare, erano quelli della festa del porco. Povero maiale non era lui che doveva fare festa, ma eravamo noi grazie a lui a far festa quel giorno e, poi, grazieadio, per le povere famiglie contadine, anche in molti altri giorni dell’anno. Non senza tradire la forte emozione che, specialmente nei bambini, l’avvenimento evocava, Marino Vocci ha ricordato la cena della sera della vigilia, con i parenti e gli amici di famiglia, la notte passata insonne, al pensiero di quanto sarebbe successo il mattino, il risveglio all’alba, quando era ancora buio, con le voci un po’ rauche dei parenti e degli amici, i saluti al porziter-becher - norcino arrivato ben prima dell’alba ed il profumo del caffè de cogoma. Ma l’emozione forte è il ricordo dei grugniti, percepiti distintamente nonostante la testa messa sotto due e più cuscini, gli strazianti lamenti di questo nostro amico, di quest’animale davvero intelligente, consapevole di essere votato all’estremo sacrificio. Quando gli uomini, con forza, cercavano di farlo uscire dalla stalla, chi aggrappandosi alla coda, chi alle orecchie, chi tenendogli le zampe con le corde e con un laccio il naso, i grugniti diventavano latrati che rimbalzavano tra le case di pietra: erano urla davvero sconsolate e per me dolorose.
Oggi c’è solo il piacere. Per un animale gustosissimo, unico e insostituibile, che ci dona cose per me irrinunciabili. Un grazie sincero per questo pilastro dell’alimentazione delle famiglie contadine per un animale del quale non si butta via niente. Da noi, il maiale è stato, da sempre, considerato la vera “musina” istriana: un animale di grande pregio e di enormi virtù: per la capacità di darci carni, grassi e proteine nobili, per la notevole prolificità, per la resa nella macellazione superiore a qualsiasi animale domestico e per la praticità di essere un animale onnivoro. Un animale in auge già nel periodo decadente dell’Impero Romano, un vero scrigno di sapori, chiamato così in onore di Maia, la madre di Mercurio. Ma la grande diffusione dell’allevamento, inizialmente allo stato brado, con pascolo nel bosco e, poi, come animale da cortile e nelle stalle (regolamentato per problemi di igiene e sicurezza da numerosi Statuti comunali), si ebbe, in particolare, nel medioevo. Nei paesi del Nord Europa, dove non cresceva l’ulivo, il grasso di maiale era l’unico condimento disponibile.
Ma restiamo in Istria, con il grande rito contadino e anche festa comunitaria, per dire, innanzitutto, due cose: la prima è che per avere grandi prodotti - lardo (per condire le minestre), ombolo, coste, pancetta, spalletta, prosciutto, luganighe, lingua, zampino e orecchie (per preparare la gelatina a Pasqua), strutto (davvero eccellente per le fritture) - dobbiamo avere carni di qualità. Questo significa anche privilegiare o, sarebbe meglio dire, rilanciare le razze autoctone - oggi imperversano quelle che hanno una maggiore rapidità di accrescimento - e scegliere, per il maiale, modalità di allevamento adeguate: un’alimentazione di qualità (zucche, patate, mele, granoturco, trifoglio) ed equilibrata. Carni di qualità, questa è la seconda cosa, che mi premeva di ricordare, che poi venivano e, in parte, ancora vengono esaltate dall’abilità del porziter e da un uso veramente parsimonioso della chimica (aromi artificiali, nitrati, vitamina C, nitrati che colorano e conservano). L’ideale sarebbe quello di farne completamente a meno, cosa possibile, se abbiamo carni di alta qualità.
Della “musina istriana” Marino Vocci, ha, poi, voluto ricordare i sapori del caro amico porco: quelli meno noti raccontati da Fulvio Tomizza quali la “polenta nera” di cui ha fornito la ricetta: una preparazione abbastanza semplice: da una parte viene preparata la polenta (gialla nelle tradizioni istriane), dall’altra, in una pentola, prima vengono cotte, alla veneziana, (nella nostra tradizione nell’olio e eventualmente un po’ di lardo dell’anno precedente sminuzzato finemente) interiora (fegato in particolare), con l’aggiunta di un po’ carne mista e cipolla, alle quali viene, poi, unito, facendo sempre attenzione di mescolare continuamente, il sangue e il vino rosso. Sul fondo del piatto, quindi, si adagiano delle cucchiaiate di polenta e sopra alcuni mestoli di sugo nero.
Marino Vocci ha, poi, ricordato altri sapori impareggiabili: quello della “brisiola”, la braciola, cucinata alla griglia, il brodo di maiale fresco, preparato con gli ossi “grassi”, coperti solo con un po’ di carne, il lesso, servito con il cren, i crauti e i fagioli in umido. Autentiche specialità sono, poi, l’ombolo giravolta, passato leggermente sull’olio di oliva, e le “luganighe”, fatte con alcune parti nobili del maiale, con pezzi non estremamente grassi, meglio se tagliati sulla punta del coltello. Ma, il vero pregio della salciccia è la “conza”, della carne che, prima di essere insaccata, deve essere impastata, mescolata pazientemente. La “conza” è il segreto di ogni produttore ed argomento di dibattito infinito ed è effettuata con: sale, pepe, vino, rosmarino, aglio, alloro. Le salsicce, poi, devono essere portate ad asciugare in un luogo ventilato ed asciutto. Sistemate a spirale sulle canne, saranno, per settimane,  l’oggetto del desiderio. Il solo guardarle richiamerà il loro sapore, una volte cotte: arrostite, “in fritaia”, (frittata), con il vino o consumate crude.
Il relatore ha chiuso la sua relazione con un avvertimento: i giorni che seguono la macellazione del maiale non sono quelli più adatti per un check up medico . 

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