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Il termine mobbing, di derivazione anglosassone, negli ultimi tempi, è diventato di uso comune nel nostro Paese per indicare, in linea generale, il fenomeno delle violenze morali e psicologiche che possono verificarsi sui luoghi di lavoro. Il mobbing è stato il tema della relazione tenuta alla fine della conviviale del 1 luglio 2009, dalla Prof.a Roberta Nunin, Docente di Diritto del Lavoro del nostro Ateneo.
Il verbo inglese “to mob“ significa, letteralmente: assalire, aggredire in massa, ed è, generalmente, usato in etologia per indicare il comportamento di alcune specie animali. Consiste nell’accerchiare e minacciare un membro del branco per costringerlo ad allontanarsi dal gruppo, ma con lo stesso termine si indica anche la mafia. Nella sua trasposizione, in ambito lavorativo, la parola mobbing assume il significato di pratica vessatoria, persecutoria o, più in generale, di violenza psicologica perpetrata dal datore di lavoro o da colleghi (mobber) nei confronti di un lavoratore (mobbizzato), che si viene a trovare in una condizione indifesa di debolezza e di sofferenza. Tutto questo avviene, spesso, in aziende con più di 15 dipendenti, per costringere il lavoratore alle dimissioni o, comunque, ad uscire dall’ambito lavorativo.
I motivi della persecuzione possono essere i più svariati: invidie, gelosie, disorganizzazioni lavorative, con carenza di regole, che colpiscono le vittime designate, alle quali non si lascia spazio per costruire e gestire i normali rapporti interpersonali e professionali.
Gli elementi identificativi del mobbing sono dunque: la presenza di almeno due soggetti, il mobber ed il mobbizzato, che entrano in contrasto tra loro, e l’attività vessatoria che, per essere riconosciuta come mobbing, deve essere continua (secondo alcuni almeno 6 mesi). Lo scopo del Mobbing è di isolare la vittima sul posto di lavoro e/o di allontanarla definitivamente o, comunque, di impedirle di esercitare un ruolo attivo sul lavoro .
Il mondo del lavoro è caratterizzato da una serie di scontri e conflitti che vedono protagonisti tutti i lavoratori, conflitti che, abitualmente, sono di un'identità tale da non compromettere in modo permanente la qualità dei rapporti tra i lavoratori e la loro salute psicofisica. Esistono, però, dei conflitti che perdono questa caratteristica di ''normalità'', per assumere quella di ''patologia'', nel senso che sono talmente violenti, che portano alla distruzione psicofisica di uno dei contendenti e, spesso, anche delle loro famiglie, all’interno delle quali vengono scaricate le tensioni. Si può cominciare a parlare di Mobbing quando gli attacchi di uno (o più) dei rivali nei confronti del collega o sottoposto più debole, occorrono con una frequenza molto elevata (statisticamente almeno una volta la settimana) e per un periodo di tempo lungo (statisticamente per almeno 6 mesi) in modo tale che il soggetto, preso di mira, si trovi in una posizione di ''assoluta'' e ''costante'' inferiorità ed impotenza, che lo porta a subire gravi conseguenze sul piano psicologico, sul piano fisico e su quello sociale.
Come si realizza il mobbing? Per comodità possiamo individuare 5 possibili tipologie di condotte:
A) comportamenti che incidono sulla possibilità della vittima di “comunicare” adeguatamente in azienda; B) condotte che ostacolano il mantenimento dei contatti sociali in ambito lavorativo (di cui  caso tipico il “confino” del soggetto in un ambiente isolato e, comunque, lontano dai compagni di lavoro); C) comportamenti lesivi della reputazione della vittima; D) iniziative pregiudizievoli della posizione occupazionale (ad es., un de-mansionamento); E) iniziative pregiudizievoli della salute psichica.
Gli strumenti normativi di tutela fanno riferimento agli articoli 2087 e  2043 del c.c. ed al D. lgs. n. 626/94 (norme in tema di sicurezza sul lavoro).
Ma, da poco, anche il “Codice per le pari opportunità”: (d. lgs. n. 198/2006), all’art. 26, definisce le “molestie” discriminatorie, considerando anche quelle di carattere morale.
E’ importante sottolineare che, in giudizio, bisogna soddisfare pienamente l’onere della prova e che può non essere facile provare il mobbing. Di qui, la necessità di curare con attenzione l’acquisizione del materiale probatorio; in particolare, risulta determinante la perizia psicologica.
Le vittime sono spesso donne, lavoratrici madri di figli piccoli, assieme ai disabili e agli anziani.
Non abbiamo, però, ancora dei dati statistici completi; quindi, è la casistica giurisprudenziale che ci fornisce le prime indicazioni, secondo le quali più della metà dei casi vedono coinvolte donne.
In tema di Mobbing, si registra un notevole attivismo dei legislatori regionali. Hanno, tra gli altri, legiferato il Lazio, l’Umbria, l’Abruzzo e il Friuli Venezia Giulia. La legge del Lazio è stata, però, dichiarata incostituzionale, per aver “invaso” competenze legislative statali (definiva il mobbing). La legge regionale del Friuli Venezia Giulia 8 aprile 2005 n. 7 (Interventi regionali per l’informazione, la prevenzione e la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori dalle molestie morali e psico-fisiche nell’ambiente di lavoro) è stata, da poco, giudicata costituzionalmente legittima dalla Consulta.
Lo studio di questo fenomeno, vecchio come il mondo, è sotto osservazione scientifica solo da poco più di una decina d'anni, in quanto, solo recentemente, si è compresa la ricaduta negativa sulla attività lavorativa e sulla capacità produttiva del soggetto mobizzato e apre degli scenari prima inimmaginabili. E' utile, prima di tutto, alle AZIENDE, che conoscendo i meccanismi di funzionamento del Mobbing possono combatterlo, e, con esso, eliminare le conseguenze che si porta dietro: dall'assenteismo eccessivo, agli sbalzi di produzione e produttività, agli infortuni, alle dimissioni, apparentemente immotivate, all'avvelenamento del ''clima'' del luogo di lavoro. E’, pertanto, importante che i responsabili del personale sappiano identificarlo precocemente, cogliendo i segnali premonitori della presenza del Mobbing, elemento fondamentale per curarlo prima che faccia danni, anche economici, molto costosi; e sappiano applicare le diverse tecniche per evitare il verificarsi del fenomeno.
Infatti, la lotta al Mobbing può avere successo solo in un’ottica strettamente preventiva. Ciò può essere attuato attraverso l’istituzione di “punti di ascolto”, il monitoraggio e la raccolta dei dati. Infatti, se il Mobbing è una “patologia organizzativa”, la “cura” si può immaginare proprio nel ripensare l’organizzazione e le relazioni sul luogo di lavoro, promuovendo opportune azioni informative e formative anche del management, soprattutto, con la creazione di ambienti di lavoro incentrati sulla cultura della partecipazione e del coinvolgimento costruttivo del lavoratore.

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