Il nuovo Prefetto di Trieste, Dr. Alessandro Giacchetti, che dal 12 gennaio ha assunto le funzioni di Commissario del Governo in Friuli Venezia Giulia, ha fatto visita al Rotary Club Muggia il giorno 26 maggio 2010. Nel porgere il suo caloroso saluto ai Soci ed agli ospiti, il Sig. Prefetto ha voluto sottolineare il suo sforzo di far sentire vivo il contatto delle Istituzioni dello Stato con i cittadini. Inoltre, Egli ha voluto manifestare la personale soddisfazione di svolgere l’importante incarico in una città, Trieste, dalla storia e dal fascino che derivano dalla cultura mitteleuropea, da una architettura dai tratti aristocratici e da una natura di bellezza unica.
Lo “stalking”, termine inglese, letteralmente traducibile in: appostamento - dal gergo dei cacciatori-, è stato il tema della relazione tenuta dal Procuratore capo della Repubblica, di Gorizia, Dr.ssa Caterina Ajello, al termine della conviviale del 19 maggio scorso. Lo “stalking” indica una serie di atteggiamenti, tenuti da un individuo, che affligge un'altra persona, perseguitandola ed ingenerandole stati di ansia e paura, che possono arrivare a comprometterne il normale svolgimento della vita quotidiana. Questo tipo di condotta è, penalmente rilevante, in molti ordinamenti; in quello italiano, la fattispecie è rubricata come: atti persecutori, secondo il testo del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica ... Violenza sessuale, atti persecutori e stalking”, convertito nella Legge 23.04.2009 n.° 38. Il fenomeno è anche chiamato sindrome del molestatore assillante. Tale legge ha introdotto, nel codice penale, dopo l’articolo 612, l’articolo 612- bis (Atti Persecutori) che recita «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
A Liliana Ulessi, giornalista “free lance”, programmista regista della sede RAI di Trieste, va il merito di aver promosso gran parte delle iniziative per far ricordare Victor de Sabata, un grande direttore d’orchestra e compositore, che ebbe i natali a Trieste. La conviviale del 5 maggio, è stata un’ulteriore occasione, in cui l’Autrice e sceneggiatrice dello sceneggiato radiofonico sulla vita e l’opera di de Sabata ha ricordato il grande musicista, nato a Trieste, in via Farneto 1, il 10 aprile 1892 e spentosi a Santa Margherita Ligure l’11 dicembre 1967. Victor de Sabata ha avuto, come direttore d'orchestra, una carriera talmente smagliante e sfolgorante, da mettere in secondo piano la sua vena di compositore. A ciò ha anche contribuito il fatto che, pur essendo un musicista più unico che raro, è vissuto mantenendo una linea di grande umiltà e riservatezza. L’esistenza di de Sabata è stata divisa tra la direzione di prestigiosi enti lirici internazionali e la composizione. Dopo aver studiato al Conservatorio di Milano, dal 1918 al 1929, de Sabata fu direttore dell'Opera di Montecarlo e, successivamente, della Cincinnati Symphony Orchestra. Dal 1929 al 1957, occupò, poi, la carica di direttore ed, in seguito, di direttore artistico del Teatro alla Scala, di Milano.
La storia delle comunità religiose, presenti a Trieste, è stata l’argomento della conversazione tenuta, in occasione della conviviale del 28 aprile, da mons. Ettore Malnati. Nulla o quasi conosciamo, su basi critiche e documentarie, della comunità ecclesiale di Tergeste in epoca pre-costantiniana. I nuclei tradizionali che possiamo faticosamente recuperare attraverso fonti posteriori, si riducono, per lo più, ai nomi di alcuni martiri, stranamente mai di vescovi, salvo che tali non siano stati quelli cui è riferito il ricorrente appellativo di presbiteri. Contatti con le comunità cristiane di Alessandria d’Egitto, sono, probabilmente, stati all’origine dei primi nuclei di cristiani, formati, verosimilmente, da membri di classi sociali più acculturate. Per secoli, la chiesa Triestina non ebbe gerarchie (vescovi). I cristiani erano laici. I suoi martiri San Giusto e Servolo erano l’uno avvocato, l’altro soldato. Trieste divenne sede episcopale, al termine del V secolo. Il suo primo vescovo fu Frugifero. Era, in principio, una diocesi suffraganea del patriarcato di Aquileia, ma entrò nella giurisdizione di Grado, dopo lo scisma dei Tre Capitoli nel 579. Nel Medioevo, la Chiesa, a Trieste, annovera vescovi che hanno lasciato una rilevante impronta, come: Rodolfo Pedrazzani (1302-1320) da Robecco d’Oglio, canonico di Cremona, che fu l’ultimo dei vescovi triestini a coniare moneta, forse, nel tentativo di restaurare il potere temporale perduto dai predecessori.
Per chi ama la propria città, ascoltare le impressioni di un illustre ed autorevole “nuovo venuto” è sempre motivo di interesse e fonte di una certa apprensione. In fondo, ci si sente un po’ sotto esame. E’ quanto avvertito, almeno da alcuni Soci, in occasione della visita del Vescovo di Trieste, Mons. Gianpaolo Crepaldi, al Rotary Club di Muggia, il 21 aprile 2010. Con molta sensibilità, tatto e diplomazia, coniugati ad un accattivante “humor”, Mons Crepaldi ha raccontato le sue impressioni sulla città, attraverso le tappe più significative delle sue visite ai luoghi più rappresentativi di Trieste. Molte sono le cose dette, ma ancor più numerose sono state quelle che ha lasciato capire, in un sottile equilibrio fra la consapevolezza delle difficoltà che la Chiesa incontra a Trieste, nel recitare un ruolo di primo piano nella vita civile, e la speranza di riuscire ad incidere più profondamente nella vita sociale e spirituale di una comunità, peraltro ricca di cultura, di sensibilità civile e di umanità. Il suo viaggio è cominciato da San Giusto, che come il Vescovo ha ricordato, era un soldato, che ha coronato con il martirio il suo percorso di fede. Proprio a San Giusto, Mons. Crepaldi ha conosciuto uno degli aspetti più caratterizzanti della città: la sua sete di cultura e l’interesse per tutto quanto l’arricchisce. Ne ha dato prova l’elevato afflusso di pubblico alle manifestazioni che Egli ha organizzato durante la quaresima, centrate sul tema della fede e trattate da illustri relatori quali Susanna Tamaro.
Affrontare oggi le complesse questioni etiche e bio-etiche di fine vita significa esaminare le diverse modalità con cui si muore nel nostro tempo, modalità profondamente diverse rispetto a quelle di un passato neppure troppo lontano. Con queste parole ha esordito il Prof Tiziano Sguazzero, trattando un tema di grande attualità e delicatezza, nel corso della conviviale del 7 aprile. All’inizio del nuovo millennio la morte e il morire continuano ad essere relegati dietro le quinte della vita sociale. I pazienti non “incontrano” la morte in quanto la fine giunge per molti di loro mentre sono incubati, aerati, sedati, non coscienti e forse neppure più umani. Si sta, al tempo stesso, con sempre maggior forza imponendo la richiesta, da parte dei malati affetti da patologie molto gravi e dolorose e senza ragionevoli speranze di guarigione, di esercitare un reale controllo sul proprio corpo, sulle terapie utilizzate, sulla valutazione di ciò che si ritiene sia preferibile per quel che resta della propria vita. In taluni casi estremi il paziente sente il bisogno di cercare, anche con l’aiuto del proprio medico, una via d’uscita da un’esistenza ritenuta insopportabile. Tale richiesta di <<prendere congedo dalla vita>> richiede di essere valutata non solo sotto i profili giuridico, sociale e religioso, ma anche sotto il profilo etico. Come interpretare e valutare tale richiesta? Le etiche tradizionali dell’Occidente cristiano sono tendenzialmente portate a considerarla oggettivamente come un attentato alla vita donataci da Dio e, soggettivamente, come una pressante richiesta d’aiuto da parte di chi soffre a coloro che gli sono più prossimi, affinché non distolgano lo sguardo dal suo dolore.
Come trasformare un bisogno primario dell’uomo, quale il nutrirsi, in una occasione di raffinato piacere è l’obiettivo dell’insegnamento della Expomittelschool ed è stato il tema della relazione alla fine della conviviale del 17 marzo. Relatrice è stata la Dr.a Rossana Bettini responsabile dei programmi formativi della scuola. Anche se non ha l’aspetto di una scuola, l’Expomittelschool forma i ristoratori e i produttori del domani. Per migliorare la qualità dell’offerta enogastronomica in regione, organizza workshop e incontri per operatori del settore, giovani professionisti ed appassionati, singles, neosposi, a differenti livelli e su vari temi, per rispondere alle esigenze di un pubblico variegato e curioso. La struttura organizza anche serate a tema: occasioni di incontro, intrattenimento ed approfondimento intorno alla cultura gastronomica locale.Architetti e sommelier professionisti dello staff tengono corsi per appassionati ed esperti su temi enogastronomici e su come preparare la tavola ed una sala di accoglienza. La relatrice ha fatto una panoramica sul gusto, considerandolo come un concetto a tutto tondo e suddividendolo in tre parti: il gusto "organolettico", ovvero quello che riguarda strettamente il palato, il gusto "estetico", ovvero quello che detta le regole della bellezza e del Galateo, applicata in tutti i settori della vita, e quello "sociale", che invita alla tolleranza.
La storia della Protezione Civile Regionale, del Friuli Venezia Giulia, iniziata in uno dei momenti più bui della storia della nostra regione: il terremoto del 6 maggio del 1976, è stata raccontata dal suo Direttore il Dr. Guglielmo Berlasso, in occasione della conviviale del 3 marzo scorso. In quella dolorosa emergenza, la voglia di fare, “di dare una mano”, di migliaia di persone, permise di mettere in moto quella “macchina” della solidarietà, su cui si è fondato tutto l’impegno per promuovere la ricostruzione. Nello stesso tempo, quella esperienza rese evidente la necessità di un coordinamento di quelle forze che si rendevano disponibili, in modo da fornire loro un adeguato supporto di mezzi e di organizzazione, per renderne massima l’efficienza. Fu così che, nel dicembre 1986, la legge n 64 della Regione FVG, prima in Italia, istituì la Protezione Civile Regionale, un Sistema formato da varie componenti: Enti Locali (Comuni e Provincia), Volontariato, Forze Armate (Carabinieri, Polizia, Vigili del Fuoco) ed Istituzioni Sanitarie, che operano in stretto contato con le Prefetture, che, a loro volta, coordinano le forze dello Stato. Questa struttura, si occupa 365 giorni all’anno, 24 ore su 24, di protezione civile e non solo nelle emergenze, ma garantisce l’efficacia e l’efficienza del funzionamento dell’intero sistema regionale, in qualsiasi momento.
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