L’attività, le criticità e le prospettive di miglioramento dell’efficienza del servizio di pronto soccorso del 118, http://www.ass1.sanita.fvg.it/118/welcome.htm sono state il tema della conversazione tenuta dal Direttore della Struttura, il Dr. Vittorio Antonaglia, dopo la conviviale del 19 gennaio. La Regione sta facendo sforzi apprezzabili, ha esordito il relatore, per rispondere alle esigenze di pronto intervento sul territorio, in soccorso ai cittadini con problemi di salute. La Regione, in tema di emergenze, sta elaborando un piano, in cui sarebbe, però, importante tener conto del fatto che i bisogni non sono omogenei, ma, bensì, variegati nel territorio. Il bisogno di soccorso che c’è a Trieste non è quello di Tolmezzo o di Palmanova. A Trieste, in media, si registra una chiamata ogni 24 abitanti, all’anno, con il profilo di codici di una certa gravità, quali: il giallo o il rosso. La conferenza Stato-Regioni ha stabilito che il rapporto dovrebbe essere di uno a 30, conteggiando assieme tutti i codici. Tale dato non sorprende se si considera che la nostra è la provincia più vecchia d’Italia e che molte persone molto anziane vivono sole. Pertanto, è necessario trovare un equilibrio fra la necessità di avere una regia unica ed il mantenimento dell’autonomia per le singole realtà socio-sanitarie. Infatti, la regia unica permette di risolvere in maniera uniforme i problemi, dai più semplici come i colori delle uniformi ai più complessi come i protocolli di intervento.
I progetti e gli sforzi che il Sindaco di Muggia il Dr. Nerio Nesladek e la sua amministrazione stanno facendo per il rilancio della cittadina sono state al centro della relazione tenuta dal primo cittadino in occasione della conviviale del 12 gennaio 2011. Quattro anni di attività di Amministratore sono stati spesi in questo sforzo, che trova nella burocrazia gli ostacoli più insidiosi e, a volte, quasi insormontabili, anche se la voglia di fare e le risorse per superarli non mancano. Il relatore ha esordito guidando i soci in una visita immaginaria lungo il percorso costiero del territorio comunale che amministra, percorso che non è stato difficile delineare per i residenti che lo seguivano con cenni di convinta presenza, sui punti di riferimento, che via via richiamava, soffermandosi sulla descrizione dei dettagli che li identificavano. Tracciata la mappa, per ogni tratto considerato, il Sindaco ha enfatizzato le potenzialità, ma anche i vincoli che rendono, di fatto, quasi impossibile l’attuazione degli interventi finalizzati alla migliore fruibilità delle aree. I vincoli, per ora insuperabili, possono essere identificati nell’inquinamento di un lungo tratto del litorale, nelle concessioni fatte ad imprenditori, nella presenza di militari nell’ultimo tratto della costa, ai confini con la Slovenia.
L'esperienza ultradecennale di primo cittadino, prima di Muggia e poi di Trieste è stato il tema della conversazione di fine conviviale del 1 dicembre 2010. Ad animarla è stato Roberto Dipiazza, già Socio Fondatore del nostro Club ed attuale Sindaco di Trieste. Questo è il mio 14° anno da sindaco. Proprio il primo dicembre, infatti, ho celebrato questo importante anniversario. Come ricorderete iniziai a Muggia, nell’ormai lontano ’96. Antonione mi chiese: “perché non ti candidi?”. E io, che avevo il supermercato a San Rocco, e un po’ popolare lo ero già, risposi di sì anche se non sapevo neanche che esistevano la Giunta e il Consiglio. Anzi, qualcuno mi accusa ancora oggi di non saperlo. Comunque, diciamo che ero a digiuno di pubblica amministrazione e che quindi mi presentai da assoluto neofita contro un professionista della politica ed ex europarlamentare come Giorgio Rossetti. Inoltre Muggia era un feudo incontrastato dell’allora Pci e si può dire che in confronto Bologna era rosa, non rossa.
Cosa può fare il Medico e chi assiste un malato terminale, quando verrebbe da dire "non c'è più niente da fare"? Ne ha parlato la Dr.a Raffaella Antonione, Medico che opera presso la Clinica Medica dell'Azienda Ospedaliero-Universitaria di Trieste dopo la conviviale del 22 dicembre 2010. Negli ultimi anni, inquanto medico ospedaliero, mi sono spesso trovata ad affrontare il “fine vita”, iltramonto dell’esistenza di una persona.
Una delle emozioni più forti che mi hanno pervaso è legata al senso di abbandono che ho percepito: affrontare la diagnosi di malattia inguaribile è inevitabilmente un percorso di solitudine, che coinvolge ogni sfera della vita della persona malata.
Per questo e molti altri motivi, mi sono trovata ad interrogarmi sul ruolo del medico, sul suo atteggiamento alle volte di eccessiva lontananza dal paziente ed “onnipotenza” nei confronti delle malattie. D’altro canto, quanto è giusto spingersi con le indagini e le terapie, quando è meglio affrontare un percorso terapeutico con minore intensità, soprattutto quando è sufficientemente chiaro che ci avviciniamo alla fine della vita?
Con i dubbi nel cuore, sono andata a cercare risposte nei testi di medicina, di bioetica e di filosofia e mi sento di proporre alcune riflessioni in tal senso.
La moderna cultura tende a rifiutare il senso del limite; ed il limite per eccellenza è rappresentato dalla morte. “La morte viene occultata” dice Husserl mentre Pascal ricorda che “Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno deciso di non pensarci per rendersi felici.” La morte oggi forse tende ad essere troppo medicalizzata, vi è tendenza alla solitudine del morente e anche la paura verso ogni forma di dolore ha portato ad esasperare una “tendenza analgesica” concettualmente ineccepibile, ma la cui estremizzazione deriva forse anche dal desiderio di controllare la (propria) morte. Camon scrive “Oggi si muore con cuore e cervello innestati ai fili che finiscono in uno strumento registratore; è la morte intubata. E il personale curante è ormai un’équipe di meccanici impegnati a badare che la flebo sgoccioli e che l’ossigeno arrivi”. Elias aggiunge “Mancando un orizzonte simbolico che permetta di parlare della morte, cresce l’imbarazzo di parlare con il morente. Le persone a contatto con i morenti non sono più in grado di confortarli con la manifestazione della loro tenerezza”. Mi sento di condividere pienamente il pensiero di Mattray: «L’accettazione del tempo del morire come un tempo che, per quanto difficile possa essere per il malato e per i suoi familiari, fa veramente parte della storia della persona, non è affatto ancora evidente».La morte è ancora oggi un grande tabù, che causa l’allontanamento dal morente, riempiendo il suo spazio e tempo con tanto fare a scapito dello stare vicino alla persona. Ma alla morte bisogna pensare, perché è esperienza quotidiana nelle nostre corsie e nella nostra pratica clinica. Bisogna forse rispolverare la “bioetica clinica” o quella “al letto del paziente”, che si occupa delle decisioni da prendere di fronte alle incertezze, ai conflitti di valore, ai dilemmi che si devono risolvere vicino e con il malato. Il risultato deve essere un giudizio pratico su quello che si dovrebbe fare per aiutare la persona malata a vivere e a morire in un modo rispettoso della sua dignità. Non deve essere un curare la malattia, un numero, un parametro. Vogliamo avere il coraggio di ricordare che, ad esempio, il cancro non è la persona malata di cancro? Nietzsche stesso ci disse “Orrore è vedere la malattia e non la persona! Vi è necessità diriprendere a farsi stupire dall’orrore di confondere la malattia con la persona.”. E lo disse tanto tempo fa.
Ho deciso per questi motivi, per questi dubbi di iscrivermi ad un Master di Cure Palliative. La Medicina Palliativa prende nome da pallium (mantello), il cui simbolismo evoca non solo tecniche, ma “atti umani” e suggerisce di “stendere un mantello sulla persona che soffre”, proteggere e coprire con lo scopo di lenire la sofferenza integrale dell’ammalato quando non se ne possono più rimuoverne in modo efficace le cause. La Medicina Palliativa si pone pertanto come insostituibile e fondamentale obbiettivo quello di cercare di superare l’immenso buco nero che esiste tra la fine dei qualsiasi trattamento specialistico e la morte del malato.
L’approccio palliativo è un fenomeno di origine medievale, ma è solo dal XIX secolo che iniziano a svilupparsi i primi “calvaires”. La fondatrice della Medicina Palliativa moderna fu Cicely Saunders. Nata nel 1918, con il suo lavoro di infermiera in tempo di guerra, quindi di assistente sociale presso il Royal Cancer Hospital, contribuì alla presa in carico globale del paziente oncologico terminale. Come medico infine, dal 1957, concentrò i suoi studi sull'attenuazione del dolore dei malati terminali non solo oncologici, facendosi pioniera della tecnica della somministrazione regolare di antidolorifici. Fondò infine il St. Christopher's Hospice a Londra, che è punto di riferimento mondiale.
Le personalità più illustri che hanno contribuito allo sviluppo in Italia della Medicina Palliativa sono l’ingegner Floriani (con l’omonima Fondazione) ed il Prof. Ventafridda, oncologo ed anestesista, promotore del Progetto Ospedale senza Dolore e del decreto legislativo a favore della più semplice prescrizione degli oppiacei.
Pur facendo parte del RC di Monza Est, in qualità di triestino e frequentatore abituale del RC di Muggia durante le mie presenze nella nostra città, sono stato incaricato di redigere il resoconto della visita degli amici rotariani sloveni di Novo Mesto che, insieme al direttivo del club triestino, ho accompagnato per tutta la giornata. Nella giornata di sabato 27 novembre, sull’altipiano soleggiato e ammantato da una magica coltre di neve, contraccambiando l’incontro avvenuto nei mesi scorsi a Novo Mesto, è stato accolto a Trieste un numeroso gruppo di soci del Rotary Club di questa città slovena - fra cui il presidente in carica e il past president - buona parte dei quali accompagnati dalle rispettive consorti, che hanno visitato la città e il territorio della provincia.
Come gestire al meglio una impresa o un parco scientifico è un tema che, trattato alle 22, dopo una giornata di lavoro e una cena proporzionata alla intensità del lavoro, stenderebbe chiunque. Ma se a trattarlo è l’Ing. Giancarlo Michellone, Presidente dell’Area di Ricerca “Science Park” di Trieste, non solo non si corre questo rischio, ma c’è, veramente da divertirsi. Provvisto di pennarelli, lavagna, verve effervescente, ironia e simpatia prorompenti, uniti a cultura ed esperienza di una lunga ed eccellente attività professionale, l’Ing. Michellone ha cominciato con illustrare l’algoritmo (PA>PR>AV>VnA) che governa la nascita, la crescita e la morte delle imprese, che seguono, in fondo, la parabola della vita di ciascun essere vivente. Dal potenziale assoluto (PA), che deriva dalle doti, che l’individuo riceve in dono dalla natura, e le imprese ricavano, dal patrimonio di: risorse umane tecnologiche e finanziarie, di cui dispongono, deriva il potenziale relativo (PR), vale a dire la performance che, in un definito momento, individuo ed impresa riescono a realizzare (il gol del campione di calcio, piuttosto che la produzione di un nuovo modello di auto). Ma, la vita di un campione di calcio si sviluppa in un arco di tempo, in cui anche la sua vitalità (AV) evolve, essendo massima nella fase che intercorre fra la fanciullezza e la maturità.
La storia della gloriosa Società Ginnastica Triestina è stata brevemente illustrata dal suo attuale Presidente l'avv. Sergio Trauner, nel corso della conviviale del 9 novembre 2010. Il 10 novembre 1863 per espressione di Giuseppe Paolina fu fondata la Società Triestina di Ginnastica, la prima incarnazione di questa istituzione di cui oggi sono presidente. Nel tempo la ginnastica fu ripetutamente sciolta dalla autorità austriaca, ma ogni volta si riformava e rafforzava grazie alla crescita nei cittadini del rispetto e dell’amore della patria italiana. All’interno della Ginnastica crescevano ragazzi nell’amore per la patria italiana, tant’è che la polizia austriaca sciolse la Società più volte, proprio perché capiva che l’ambizione dei giovani era di irredentismo verso una patria unita e italiana. In quel periodo nascono anche la scuola materna comunale, i ricreatori, la lega navale insieme alla Ginnastica Triestina.
E’ dalle sue origini che la Ginnastica Triestina è formata da una moltitudine di attività che l’ha caratterizzata come una polisportiva, collegata ad una visione anche patriotica, composta da giovani anche di diverse razze - specchio di una delle maggiori peculiarità di Trieste, città fatta da un coacervo di popoli che sviluppavano la loro attività arricchendola. Parlando di questo argomento voglio ricordare l’amico Manlio Cecovini che scrive in un suo saggio che Trieste era unita dalla cultura italiana, in cui si credeva e si operava, sapendo assimilare razze e religioni diverse in un’unica visione, di cui la Ginnastica era espressione fra le altre della città.
Dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001, l’America aveva bisogno di un nuovo sogno: c’era la necessità di dimostrare a se stessa e al resto del mondo che, nonostante tutto, il modello americano basato sull’ottimismo e sul capitalismo avrebbe continuato a funzionare. Tutto ciò si è trasformato nello slogan “una casa per tutti”!!! Fin qui nulla di male, se non fosse stato per l’avidità del sistema bancario, per la mancanza di cultura finanziaria da parte dei clienti e soprattutto per la mancanza di regole certe in materia di regolamentazione del mercato e dei nuovi prodotti ad esso collegato. Così, per moltiplicare i guadagni all’infinito, si sono utilizzati in proporzioni smisurate strumenti relativamente nuovi come gli ABS, CDO e CDS. Fino a qualche anno fa una banca americana poteva erogare mutui utilizzando una proporzione tra riserve possedute e crediti erogati. Con l’utilizzo dei Credit Default Swap (CDS) le principali banche hanno convinto gli organi di controllo che non serviva più garantire una parte dei crediti erogati con le proprie riserve; infatti i CDS non sono altro che una copertura assicurativa rilasciata da un’assicurazione o da un altro istituto che, a fronte di un premio pagato, “garantisce”, in caso di mancata restituzione del credito, che quanto dovuto verrà saldato dalla controparte venditrice del CDS.
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